14 Ottobre 2013

Rocce

Appunti

Maria Michela Altiero, in ricordo di Gabriele.

Gabriele Scalfarotto era il mio amatissimo zio.
E per usare un’espressione sua – anche se non coniata per me – è stato più suo il merito di essersi fatto amare, che mio quello di averlo amato.
Mi costa fatica oggi parlare di lui al passato, come di uno che non c’è più, perché l’assenza era una caratteristica che non gli apparteneva.
Lui infatti c’era sempre.
Vivevamo in due città diverse e non potevamo vederci con molta frequenza.
Eppure lui è stato presente in tutti i momenti importanti della mia vita e anche in buona parte dei momenti ordinari.
In un momento terribile come oggi, per esempio, me lo sarei trovato sicuramente accanto.
E ciò mi avrebbe dato tantissima forza.
La forza di una roccia.
Ormai era giunto all’età in cui nessuno può pretendere più da un uomo che sia sempre come una roccia. L’età in cui un uomo può consentirsi di considerarsi in pensione su molti fronti, non solo su quello lavorativo.
Ma lui non era il tipo del pensionato, su nessun fronte,perché era basilarmente un uomo d’azione.
E per la verità non era solo un uomo d’azione, ma anche di parole – e che parole! – oltre che di pensiero – e che pensiero.
Parlare con lui non era mai un’esperienza banale, di qualunque argomento si trattasse.
Il suo pensiero era lucido, originale, arguto.
Era una grande mente e, per quanto mi riguarda, anche un gran cuore.
Un cuore peraltro che aveva retto a parecchi colpi – e mi verrebbe da dire, se non temessi di sembrare di cattivo gusto, persino agli ultimi due.
L’età avanzata può aver avuto certamente degli aspetti negativi per lui, come per tutti: aspetti di peggioramento delle condizioni fisiche ed in genere di perdita dei precedenti livelli di performance.
Per dire, non veniva più da Foggia a Napoli in motocicletta, ma tuttavia il suo aspetto era sempre quello di un bell’uomo e, a vederlo, si poteva ben dire che il suo corpo aveva retto bene agli anni.
Come sicuramente aveva retto bene la sua mente, per molti aspetti.
Chiedere un parere o un consiglio a lui era sempre ottenere soddisfazione. Era un arricchimento da mente a mente, un confronto illuminante, a prescindere dal condividere o meno il suo punto di vista.
Negli ultimi tempi, poi, avevo notato anche l’emergere in lui di una qualità nuova, che forse era stata proprio un dono dell’età: una particolare delicatezza.
Il suo ascolto era attento come sempre e le sue risposte sempre a tono, ma il tono di oggi era anche più umano di sempre, arricchito appunto di una nota più dolce.
Quando ho saputo che si era tolto la vita, ho sentito il bisogno di aggrapparmi ad una roccia – un’altra roccia – per trovare la forza di reggere il colpo.
Allora la mattina dopo sono salita sul Vesuvio, che è il luogo più roccioso che abbia a portata di mano.
Ho scelto un posto tranquillo e mi sono prima seduta e poi addirittura stesa sopra un grosso masso di pietra lavica.
Sono stata lì sdraiata per un po’ a guardare il cielo.
Quanto, non saprei.
Diciamo fino a che un po’ dell’energia della pietra vulcanica non mi ha fatto tornare le forze.
Allora ho deciso, prima di andarmene, di salutare con un abbraccio quella roccia, che mi aveva dato tanta forza, come avrei fatto volentieri anche con zio Gabriele, prima che se ne andasse.
E con la roccia l’ho potuto fare.
Ma, mentre me ne distaccavo, devo aver fatto un movimento brusco con un braccio, per cui ho urtato la roccia e quella ha emesso un suono strano.
Un suono da tamburo, non da roccia.
Il punto in cui avevo urtato, evidentemente sotto conteneva un vuoto; doveva essersi formata una bolla d’aria nella lava, prima che si solidificasse.
E quello era un punto debole della roccia, una fragilità in quella stessa roccia che aveva dato a me così tanta forza.
E l’avevo scoperto così, per caso, perché da fuori non si vedeva.
Allora ho pensato a zio Gabriele, che l’ultima volta, al telefono, mi era sembrato che avesse la voce triste, che avesse emesso anche lui all’improvviso un suono diverso dal solito.
Ma quando gli ho chiesto se per caso c’erano problemi, perché mi era sembrato di aver colto una nota di tristezza nella sua voce, lui si è mostrato stupito e quasi divertito ed ha risposto che stava bene, che era solo concentrato sulle sue cose, per questo poteva avermi dato quell’impressione.
Quando ho provato a mettere insieme per iscritto i ricordi dei momenti della mia vita in cui zio Gabriele era con me, sono scoppiata in lacrime, perché non c’è tappa saliente nella mia vita, nella gioia e nel dolore, in cui lui non sia stato con me.
Forse non si può dire lo stesso reciprocamente di me, per lui.
E quando una volta glielo feci notare, non con specifico riferimento a noi due, ma in genere con riferimento ai rapporti tra le generazioni nelle famiglie, con riguardo al momento in cui spetta al giovane fare le cose che prima faceva il vecchio, perché a un certo punto i ruoli si capovolgono, lui sottolineò l’esistenza di una linea di confine invalicabile, per cui chi è venuto prima al mondo va trattato sempre e comunque come quello che è venuto prima. Il genitore resta sempre genitore, lo zio sempre zio, e non retrocedono mai al rango di figlio o nipote, in nessun senso.
Io non saprei dire se l’uscita di scena di zio Gabriele sia stata l’estrema dimostrazione di forza della roccia, o il suo crollo.
Potrebbe essere stata l’una o anche l’altra cosa.
Ciò che forse avrei voluto dirgli, se avessi potuto, è che ormai lui era importante per me a prescindere dal suo essere roccia.
Per quanto oggi io possa essere affranta e dolente, sono pur sempre adulta, come sono adulti tutti gli altri suoi figli, di sangue ed elettivi, e – per quanto per lui potesse essere inaccettabile una bolla d’aria sotto la sua superficie – per noi tutti averlo in vita, ancorché più fragile di ieri, era comunque una grande ricchezza.
Resta il fatto, però, che non si può pretendere da una persona che resti in vita solo per far piacere a noi.
Specie se, a conti fatti, davvero è giunto il momento di passare alla generazione successiva la staffetta della forza.
Per cui, zio Gabriele, grazie per tutto ciò che sei stato e che hai fatto per me.
E, se hai deciso di andartene senza chiedere il mio parere, ne avevi il diritto ed avrai avuto anche le tue buone ragioni.
Sei uscito di scena in un momento in cui avremmo ancora voluto averti in scena.
E, se ci fosse concesso, mi piacerebbe tanto poterti chiedere il bis.

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