28 Luglio 2013

Non di meno PD, insomma, ma di più PD

Appunti, L'Huffington Post

Il mio post per L’Huffington Post.

Parliamoci chiaro: stabilire se il segretario del Partito democratico lo debbano eleggere solo gli iscritti o gli elettori significa scegliere tra due modelli di partito radicalmente diversi.

Il partito il cui segretario è eletto da una platea aperta è il PD della fondazione, quello del 2007, il partito pensato da Walter Veltroni, il partito che voleva parlare a tutta l’Italia superando le divisioni ideologiche e la divisione tra politica e società civile. Un partito aperto, disponibile a farsi contaminare dalla società e pronto a contaminarla in un processo di continua rimescolanza. Un partito che lavora su temi e su grandi campagne di opinione, un partito a cui possono associarsi singoli cittadini, ma anche associazioni, comitati o gruppi. Un partito da vivere con libertà, un partito a cui dare pittosto che un partito da cui ricevere.

Sembravamo tutti d’accordo che il PD dovesse assomigliare a questa cosa nuova, quando lo fondammo. In fondo, il PD nasceva dallo stato di necessità dato dall’evidente crisi dei partiti novecenteschi. Una crisi culminata nel pasticcio de L’Unione: l’ammucchiata di una dozzina di partitini identitari che aveva esaurito in pochi mesi la sua esperienza di governo, lasciando i nostri elettori nello sconforto più profondo.

In realtà, nell’unanimità di voci che aveva celebrato la nascita del partito nuovo, c’erano moltissimi che non erano per nulla convinti della necessità di superare il modello del partito tradizionale. Ce ne accorgemmo subito nella Commissione, presieduta da Salvatore Vassallo, che ebbe l’incarico di redigere lo Statuto del partito. Un documento, quello finale, frutto di un compromesso su due visioni di partito completamente incompatibili che hanno continuato a combattersi fino alla deflagrazione di ieri.

I sostenitori del partito che elegge il suo segretario soltanto col voto degli iscritti sostengono adesso come allora che non si capisce perché i non iscritti debbano avere voce in capitolo su questa scelta. “In fondo – chiedono – il segretario di una bocciofila non lo eleggono solo gli iscritti alla bocciofila?”. Il fatto è che un partito politico non è una bocciofila per il semplice motivo che gli effetti delle decisioni del presidente della bocciofila riguardano i soli iscritti, mentre le decisioni del segretario del PD hanno effetti che vanno ben al di là della ristretta cerchia degli iscritti al partito. Riguardano tutti gli elettori, piuttosto, ed è per questo che gli elettori devono poter dire la loro.

Chiudersi nuovamente in un recinto sarebbe, per il Partito democratico, una scelta esiziale. Soprattutto oggi, nel momento in cui il rapporto con il nostro elettorato è messo a dura prova dal governo delle larghe intese, che molti hanno subito più che accettato. Rivolgerci ai nostri elettori per comunicare loro che il parere dei tre milioni di persone che elessero Veltroni e Bersani oggi non è più gradito né necessario, sarebbe un messaggio impossibile da formulare. Dire agli elettori del PD che ciò che appartiene a tutti i nostri simpatizzanti non è più il Partito democratico ma solo la coalizione di governo – solo a quella sarebbero riservate le primarie – significa ridurre il PD al semplice azionista di un gruppo. Una cosa più piccola e assai meno ambiziosa del partito che voleva cambiare la società e la politica italiana che voleva essere alla nascita.

Se fino ad ora non ci siamo riusciti non è certo perché, come qualcuno vorrebbe far credere, ci siamo spinti troppo avanti ed è dunque il tempo di tornare indietro. Se dopo tutti questi anni siamo ancora in mezzo al guado è perché al contrario quel progetto non è mai nato per davvero. Non di meno apertura abbiamo bisogno, dunque, ma di maggiore apertura. Non di minore coraggio, ma di più coraggio. Non di minore innovazione, ma di più innovazione. Non di meno PD, insomma, ma di più PD.

6 risposte a “Non di meno PD, insomma, ma di più PD”

  1. miria ha detto:

    Miria Tagliani ok ma i 101 sono usciti dalle primarie o no!!!! Quindi miglioriamole perché questo deve essere un congresso che indica i valori base che ci uniscono e non chi ha più voti o no! parliamo anche di contenuti e non solo di persone per favore!!!!!!

  2. german ha detto:

    Sicuramente i valori implementati nel pd da Walter Veltroni incarnano un partito democratico che si apre alla società civile con l’entusiasmo di una struttura che ha voglia e capacità di crescere contaminandosi positivamente con idee e valori che cambiano di volta in volta seguendo i cambiamenti della società ………………….personalmente propendo per un partito con questo tipo di caratteristiche

  3. Zanna Bianca ha detto:

    Caro Ivan, credo che al netto delle positive dichiarazioni di intenti della nascita, il partito democratico non è ancora maturato e ben pochi passi avanti sono stati fatti dal “ground zero” dell’Unione, che giustamente definisci “’ammucchiata di una dozzina di partitini identitari”.
    Le spinte personalistiche ed egoistiche sono sempre più forti, evidenziando le differenze non come una ricchezza ma come un campo di battaglia per i vari fighetti di turno. Fighetti che come un cronista ha ben detto, approfittano di qualsiasi spunto di dibattito per dire la loro, ovviamente in dissenso e con una velata critica verso il vertice, e poi ritirarsi in buon ordine dimenticandosi l’argomento, in attesa di un’altra occasione per fare i professorini.
    Insomma, nessuno (se non pochi), prende al cuore un tema, e se ne fa carico nel dibattito politico accettando vantaggi e svantaggi delle proprie posizioni.
    In questo devo riconoscere la coerenza della tue posizioni verso i temi a cui sei più sensibile; quasi sempre affronti il dibattito e non ti tiri indietro.
    A differenza di gente alla Civati, che in tanti anni non ho mai capito da che parte sta. Rappresenta la quint’essenza del fighettismo: ascolta un argomento, fa la sua critica sospirando “..poveri noi se il PD è a questo punto …”, guadagna qualche titolo o comparsata televisiva, e poi lo scarica dimenticandosene ed aspettando la prossima occasione.
    Forse nel partito manca un “uomo forte”, nel senso di una persona al vertice con un carisma talmente elevato da mettere in un cono d’ombra qualsiasi fighetto di turno si azzardi a ridere sotto i baffi.
    E che abbia il coraggio di allontanarsi dalle visione massimaliste e strumentali del sindacalismo assistenziale e protettivo verso il povero lavoratore schiavo del padrone cattivo ed evasore..
    Ma non lo si inventa.
    Arriverà? Lo spero.
    Di certo non si chiama Matteo Renzi.

  4. Omar Supio ha detto:

    @Zanna Bianca. Tutto bene, condivisibile in modo convinto. Tranne l’ultima affermazione: “Di certo non si chiama Matteo Renzi”. Senza alcun intento polemico ti chiedo: perché?

  5. Zanna Bianca ha detto:

    @Omar Supio
    Ciao,
    Renzi aveva fatto anche a me una gran bella impressione durante le ultime primarie. Diceva cose giuste e condivisibili.
    Probabilmente il governo delle larghe intese gli ha scompaginato i piani.
    Ora, al pari degli altri, è (o fa finta) di essere contro un governo che in realtà è l’unico possibile. Pensavate veramente possibile fare il governo con i “grillini”.
    Quindi il suo continuo minacciare la crisi è strumentale al suo interesse personale e non all’interesse del paese: E’ ben conscio e consapevole che un governo di legislatura lo farebbe dimenticare e quindi fà di tutto per rendersi visibile.
    La sua tattica è evidente: minaccio e sono visibile, se poi cade il governo, chissenefrega!!! mi candido.
    A totale spregio di tornare a votare con il porcellum, ed al fatto che per quanto oggi siamo alleati con i puzzoni del Pdl, questa è l’unica occasione (e forse l’ultima) per mettere mano a riforme ineludibili, senza delle quali andremmo al fallimento: costituzione, magistratura, spending review, pubblico impiego lavoro.

    Da ultimo ti cito uno stralcio di un’intervista rilasciata da De Gregori al Corriere della Sera sulla crisi del Pd. In poche parole descrive meravigliosamente il mare magno del Pd tra fighetti, nostalgici e gauche caviar.
    «È un arco cangiante che va dall’idolatria per le piste ciclabili a un sindacalismo vecchio stampo, novecentesco, a tratti incompatibile con la modernità. Che agita in continuazione i feticci del “politicamente corretto”, una moda americana di trent’anni fa, e della “Costituzione più bella del mondo”. Che si commuove per lo slow food e poi magari, “en passant”, strizza l’occhio ai No Tav per provare a fare scouting con i grillini. Tutto questo non è facile da capire, almeno per me»

  6. Zanna Bianca ha detto:

    @Omar
    Da ultimo:
    ma Renzi poi, a che ora ed in che giorno fa il Sindaco di Firenze?
    Avrei voluto sentirgli dire “Ho tentato e non ce l’ho fatta! Cari fiorentini scusate se mi sono allontanato ora torno a concentrarmi nel mio lavoro di Sindaco”.
    Macchè!!