4 Giugno 2006

Una patriota nel 2006

Diritti, Giovani, Lavoro precario

“Parlo della mia personale esperienza di arabista mai riuscita a trovare lavoro in Italia ma solo all’estero. Le relazioni con i Paesi Arabi sembrano essere solo parole… e pare proprio che le parole siano solo aria in movimento. Proprio ieri vedo un reportage di un giornalista italiano nei Paesi del Golfo, in Oman, non solo non sa parlare bene l’inglese ma continua a perpetrare il più tipico unprofessional stile italiano del fai da te… e male. Sono una di quelli che oramai parla persino male dell’Italia soprattutto con gli stranieri. Eppure da quando ho cominciato a studiare l’arabo, nel 1989, ho viaggiato, vissuto e lavorato nei Paesi Arabi e con gli Arabi. Poi mi vedo T.F., in visita all’ufficio culturale saudita a Roma, dove lavoravo, due anni fa circa, che voleva fare un corso d’arabo di un paio di mesi in Libano per poter leggere velocemente i sottotitoli scorrevoli di AlJazeera… Inizialmente ho pensato che fosse un po’ ingenua a credere di poter raggiungere questo risultato in quei tempi. Poi continuando a parlarci e provando a spiegare che, solo per imparare a leggere le parole ferme, ci vuole almeno un anno di studio, ho dovuto constatare il noioso “sono un genio” all’italiana forse maggiormente accentuato data l’affermata posizione lavorativa. A me che cerco disperatamente di cercare un lavoretto dove poter utilizzare l’arabo,che tante fatiche m’è costato imparare a livello professionale, non rimane tanta speranza di avere più possibilità in Italia. Ho pure 35 anni… E qui a 18 anni non vali perché non hai esperienza, dopo i 30 non servi più perché non sei più ricattabile, dopo i 50 sei inservibile perché ormai superato. Insomma si è sempre fuori posto. Questo Paese è purtroppo incancrenito e non sarà sufficiente riprendere a vendere prodotti, per così dire, made in Italy per risollevare la situazione. Non c’è solo sfiducia ma diffidenza e persino disprezzo, come nel mio caso. Non sono mai stata una grande patriota. Ciò che conta per me è la cultura, la mentalità, la serietà. Qui in Italia di culturale son rimasti solo i reperti e l’eredità ormai troppo antica per poter servire da stimolo alle coscienze. Quanto a mentalità non si potrebbe essere più patetici e noiosi: questa cantilena della famiglia e dei familiari, delle telenovelas sulla famiglia e delle politiche per la famiglia… Il resto del mondo, persino il cosiddetto Terzo, continua a camminare dentro la modernità e verso la modernizzazione e noi stiamo ancora a inseguirci la coda. Leggere un quotidiano italiano è noioso. Guardare un programma televisivo italiano è noioso. Parlare col 90% degli italiani è noioso. Sempre la stessa solfa. Non ci sono ideee, non c’è apertura, non c’è freschezza e soprattutto non ci si confronta con il diverso. Si pensa sempre d’essere i migliori… dentro la caverna, però. Persino ieri mentre guardavo i campionati mondiali di ginnastica ritmica i due noiosi commentarori, l’uno dei quali è stato peraltro valentemente azzittito da Yuri Keki, invece di fare la cronaca dello svolgimento delle gare in maniera professionale, sembrava fossero stati pagati per cercare di infarcire la trasmissione di elogi alla squadra italiana. Eppure è risaputo che le atlete dell’Est sono le migliori. Mi domando quale professionalità avessero questi due telecronisti per star lì a blaterare, disturbando l’udito di tanti telespettatori più preparati di loro. Insomma di certo non la bravura. E quando la bravura non è evidente, viene da sé pensare che il meccanismo di assunzione sia stato la solita affiliazione familiare…
….
Infine perché, diversamente dal resto d’Europa, quando si legge un articolo su un giornale italiano si sente solo la cronaca di ciò che è stato detto e fatto e non invece una documentazione approfondita e completa delle circostanze del fatto? Perché quando si parla di grandi aziende non vengono mai citati i rating per dare al lettore un’idea completa di come quella determinata azienda viene considerata a livello internazionale? Qual è il ruolo del giornalista in Italia? Eppure all’apparenza sembra ce ne voglia per diventare giornalisti in questo Paese, diversamente dal resto d’Europa. Sembra che qui bisogna avere certificati, carte, corsi, punteggi, articoli, tessere, etc. etc. Altrove sembra che bisogna solo dimostrare di sapere scrivere, di saper essere critici, sapere analizzare, documentarsi, conoscere le lingue. Sembrerebbe più credibile! “

Lidia ci ha postato oggi un commento ad un articolo pubblicato tempo fa; ancora non avevo terminato di leggerlo che già avevo deciso di pubblicarne uno stralcio (il resto lo trovate nel link, mentre qui il neretto è mio).
Lidia non si considera una “gran patriota”: secondo me ne possiede invece tutta la dignità e la fierezza. La fierezza di volere che l’Italia sia un Paese civile e democratico, la dignità di non lasciarsi ammorbare dalle sue logiche clientelari, la visione disincantata delle magagne in cui è immerso.
Questo è il modo di rendere onore al 2 giugno da parte della “generazione di mezzo” dei trentenni che non hanno combattuto per la Repubblica, che non c’erano quando si componeva la Carta Costituzionale, che non hanno contribuito al boom economico degli anni ’50, che non contestato nei ’60 e nei ’70, ma che sono qui ora, più patrioti di quanto loro stessi, talvolta, siamo disposti a credersi.
Emanuela

Una risposta a “Una patriota nel 2006”

  1. dadevoti ha detto:

    Io vivo xon un’arabista disoccupata.
    Ho imparato moltissimo sugli arabi 🙂