28 Giugno 2017

Nativi globali

Appunti, Attività di governo, Economia, Milano, Moda, Mondo, Riforme, XVII Legislatura

Il sistema produttivo della Lombardia e delle sue dodici Province è senza ombra di dubbio la punta avanzata del processo di internazionalizzazione che le imprese italiane stanno seguendo per affrontare al meglio le difficoltà e sfruttare al massimo le opportunità dell’attuale fase economica, e soprattutto delle future.

Stamane ho partecipato all’incontro “Imprese lombarde nel mondo: come e dove”, organizzato da Confindustria Lombardia, nel corso del quale è stato presentato lo studio “Strategia di internazionalizzazione, commitment e performance delle Pmi lombarde” realizzato dalla stessa Confindustria Lombardia con il contributo scientifico di SDA Bocconi.

Un’indagine che conferma il buon livello dei progressi fatti e la “maturità di sistema” raggiunta nel settore dell’internazionalizzazione, che è non casualmente uno dei quattro assi strategici del Piano “Lombardia 2030”. La percentuale delle vendite all’estero per le imprese lombarde ha un range che va dal quasi 50% delle province di Varese, Cremona e Brescia al 35% di Mantova. Non sorprende che il comparto manifatturiero sia di gran lunga il leader, né che vi sia differenza di strategia e di approccio fra le imprese medio-grandi (che preferiscono diffondere il proprio prodotto nel maggior numero di Paesi possibile, anche con quote di mercato minime) e le Pmi, che normalmente puntano a un numero limitato di mercati, con l’obiettivo di contenere i costi.

Colpisce la caratteristica, tutta lombarda, delle cosiddette imprese born global, come vengono definite quelle aziende che raggiungono nei primi anni di attività il 25% delle vendite all’estero sul fatturato. Possiede questa caratteristica il 34% delle 1200 imprese circa oggetto dell’indagine.
Sono best practices che la politica del Governo intende incoraggiare e sostenere. Ho ricordato a questo proposito non solo i dati quantitativi che certificano questo proponimento, a cominciare dalla moltiplicazione in fattore cinque delle risorse conferite ad Ice Agenzia (il principale strumento per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese) per finire ai voucher di cui le Pmi possono avvalersi per far ricorso in modo gratuito o incentivato alle nuove professionalità richieste dal mercato, come i temporary export manager che disegnano un piano di internazionalizzazione a misura delle imprese per cui lavorano.

C’è anche, però una maggiore propensione a fare sistema, come dimostra l’alacre attività di diplomazia economica della nostra rete di ambasciate e consolati, o come attesta il nuovo ruolo di Sace e Simest, le controllate del Gruppo Cassa Depositi e Prestiti che, insieme alla casa madre, costituiscono ormai una vera e propria ex-im bank.

Queste iniziative, ed altre imminenti, quale quella che annunceremo tra pochi giorni per il sistema moda, sono preziose per tenere il passo con i mutamenti e le incognite di un mondo complicato. Un mondo nel quale l’Unione Europea, come dimostra il tormentato iter dell’accordo di libero scambio con il Canada, fatica a trovare una dimensione comunitaria della politica commerciale, nel quale sono tuttora vive le preoccupazioni per il piglio protezionista di Donald Trump. Un mondo nel quale la Cina non deve essere considerata solo come un paese che ci inonda con i suoi prodotti a basso costo, ma piuttosto ritenuta un luogo dove si sviluppano importanti innovazioni tecnologiche e si predispongono enormi piani di investimento nelle infrastrutture: una ghiotta occasione, insomma, per il saper fare italiano.

Secondo lo studio Confindustria-SDA Bocconi, le imprese lombarde aspirano soprattutto alla penetrazione in tre mercati extra-Ue: quello indiano, quello russo e quello iraniano. È per me motivo di grande soddisfazione constatare che si tratta di tre Paesi ai quali l’Italia ha rivolto nell’ultimo triennio – e con successo – un’attenzione grandissima, malgrado la presenza di ostacoli e difficoltà. Vuol dire che fra Governo ed imprese, fra Stato e sistema produttivo non c’è alcun dirigismo o incomunicabilità; al contrario, c’è un comune sentire che determina un prezioso lavoro di squadra.