26 Gennaio 2015

Amen

Appunti, Politica italiana

Venerdì scorso, sfogliando il Corriere della Sera, ho trovato tre notizie in fila che mi hanno molto colpito. Significative una alla volta, ma parti integranti di un mosaico che ha rappresentato benissimo ai miei occhi l’indomita natura della conservazione nel nostro paese: una bestia appena scalfita dal lavoro del governo e assolutamente decisa a sopravvivere e a difendersi, possibilmente riattaccando e neutralizzando chi vorrebbe eliminarla.

Tutto comincia a pagina 8.
Titolo: “Non ha i requisiti per guidare l’Inps”, gli ostacoli per Boeri in Parlamento.
Dove si racconta del fatto che Sergio Pizzolante, deputato di Area Popolare, d’intesa con il presidente della commissione lavoro Cesare Damiano, avrebbe chiesto chiarimenti al governo perché nel profilo di Tito Boeri – designato nuovo Presidente dell’INPS – non risulterebbe “una specifica capacità manageriale e una qualificata esperienza nell’esercizio di funzioni attinenti al settore operativo dell’ente”. E il vicepresidente della commissione Renata Polverini avrebbe chiesto un’audizione di Boeri per verificarne appunto le capacità manageriali.
Renata Polverini che verifica il CV di Tito Boeri.
Amen.

Sfogliando il giornale, arrivo a pagina 25.
Titolo: “La Consulta e il dilemma dell’inglese”, i corsi del Politecnico di Milano diventano caso “costituzionale”.
Dove si racconta che la decisione del Politecnico di Milano di tenere i corsi delle lauree specialistiche in inglese è finita davanti alla Corte Costituzionale. Non per dire che non esiste al mondo che un’università di eccellenza tenga i suoi corsi in una lingua bellissima come la nostra, che però non serve un gran che per ingegneri che abbiano aspirazioni globali né serve ad attrarre studenti dall’estero. No, il tutto nasce dal fatto che il Consiglio di Stato ha adito la Consulta perché attanagliata da un interrogativo angosciante. Leggo sul Corriere: “Siamo sicuri, sembrano chiedersi i giudici, che si possa passare all’inglese come lingua unica ed eliminare l’italiano, che si ritroverebbe così senza nemmeno la tutela riservata alle minoranze (linguistiche prevista dalla Costituzione)”?
Vuoi vedere che il principale problema a Merano, a Gressoney e a Piana degli Albanesi sono i programmi di insegnamento del Politecnico di Milano?
Amen.

Proseguo e arrivo a pagina 41.
Titolo: “La rivolta delle Banche Popolari”, “Pronti a tutto contro il decreto”.
Dove si racconta che i “maggiorenti” (testuale dall’articolo) del consiglio dell’Istituto centrale per le banche popolari hanno prodotto un comunicato dove si “annuncia battaglia” perché “il decreto venga meno e l’ordinamento giuridico continui a consentire a tutte le banche popolari di mantenere la propria identità”. L’identità consisterebbe nel mantenere il voto capitario, e cioè il principio per cui un’azionista che ha comprato 10 azioni e uno che ha investito comprandone centomila valgono uguale: hanno lo stesso potere, la stessa voce in capitolo e la stessa responsabilità anche non sopportando lo stesso rischio. Un modo come un altro per evitare che qualsiasi investitore di buon senso si avvicini queste aziende e un metodo infallibile, quindi, per fare in modo da preservare antichi assetti di potere. Il governo ha chiuso questa questione che si trascinava da decenni con un decreto legge, e col favore di Bankitalia.
Ma chi si è avvantaggiato da questa assurda normativa di stampo sovietico si sta già attrezzando perché il decreto non sia convertito e la riforma cada nel nulla.
Amen.

Proseguire, allora, senza sconti e senza esitazioni, contro tutti i conservatorismi e tutti i privilegi. (Amen.)