4 Gennaio 2015

Lost in translation 7

Appunti, Viaggi

Lo Shinkansen, il treno proiettile, è in servizio dal 1964, l’anno delle olimpiadi di Tokyo. In 50 anni, il ritardo medio accumulato da questi treni è stato di 27 secondi. Wow. (E il treno viene ripulito da cima a fondo in sette minuti precisi. Wow wow.)

Biglietti da visita, carte di credito, biglietti del treno. Quando ti sono dati o restituiti (dal controllore del treno, dall’addetto alla reception dell’hotel, dalla persona appena conosciuta a una riunione) essi vengono afferrati da entrambi i lati con una solida presa di pollice, indice e medio e presentati perfettamente paralleli rispetto al piano del suolo. Te li vedi offerti con tale fermezza e geometrica orizzontalità che potrebbero benissimo essere piccolissimi vassoi sui quali tenere in equilibrio servizi da tè lillipuziani completi di minuscoli piattini, tazzine, cucchiaini, lattiere e zuccheriere. Così si dimostra cura: le cose vengono date o restituite con una forma di solenne attenzione per chi le riceve e non lanciate come palle da baseball. È parte di quelle modalità di relazionarsi di cui signore assoluto è l’inchino, dentro il cui moto c’è il Giappone tutto intero. Osservare appena si arriva, e provare a comportarsi allo stesso modo (sempre per la serie: “do what the Romans do” – vedi Lost in translation 6).

In Giappone si vede tantissima, ma tantissima, gente che indossa piumini Moncler. Chiaramente qui non conoscono Milena-san.

All’inizio pensavo che in Giappone i ristoranti avessero le immagini delle portate sul menu, e spesso anche su grandi tabelloni luminosi all’esterno del locale, solo per facilitare il compito dell’ordinazione ai visitatori stranieri. E invece questo succede anche in posti dove di stranieri non si vede l’ombra e persino dove hanno il menù in due lingue: le foto dei piatti ci sono sia sulla versione inglese che su quella in giapponese. Probabilmente è solo che da queste parti il senso della vista dev’essere prevalente, come confermato dalle famose riproduzione del sushi in plastica che si vedono anche da noi, qualche volta. Se ne desume che una carriera che si può valutare per i giovani giapponesi dev’essere quella del fotografo di cibo (e anche del modellatore di riproduzioni di cibo in plastica).

Durante i saldi, nei negozi si può acquistare un Fukubukuro. Un sacchetto del negozio che contiene cose che non sai, a prezzo fisso. Spendi poco, ma non sai cosa compri. Il bello è che la gente li compra: ti può capitare un maglioncino della tua misura che non ti piace, o uno che ti piace moltissimo ma di tre misure più grande. O uno che volevi comprarti da anni e pure della tua misura, ma del colore sbagliato. È un po’ come al casinò: alla fine si perde sempre, eppure la gente ci va lo stesso.

Dirò un paio di cose che faranno certamente inorridire gli studiosi e i conoscitori dell’Asia e del Giappone e crollare la mia reputazione presso di loro e non solo. Il fatto è che ancora non riesco a capire concettualmente, ma al ritorno voglio assolutamente approfondire l’argomento, come funzioni la scrittura per ideogrammi e la sua lettura. Sono tanti e così complicati che davvero sembra misterioso il meccanismo che rende possibile leggerli e interpretarli a colpo d’occhio. La scrittura per lettere, in cui la sequenza dei segni compone fondamentalmente il suono di una parola, è chiara. Una volta imparato a leggere, puoi leggere anche cose di cui non conosci il significato: puoi non sapere cosa sia un acceleratore di particelle, ma puoi leggere le parole attraverso la composizione delle poche lettere che le compongono (21 in italiano, 25 in inglese, non ci vuol molto a impararle) e scoprirne poi il significato. Ma cosa fai quando non riconosci un ideogramma delle migliaia che dovresti conoscere quando ti capita davanti? E poi: come è possibile che giornali e libri si sfoglino da sinistra verso destra come in arabo (per noi sarebbe come leggere dall’ultima pagina alla prima, per intenderci) e invece le scritte scorrevoli procedono da destra verso sinistra come da noi? Sono certo che si tratti di domande totalmente idiote per chi ne sa. Farò bene a capirne presto di più. E sarà davvero presto, perché è tempo di dismettere i panni di Marco Polo e di tornare (lo ammetto: finalmente) a casa.

Restituisco dunque la linea. Qui aeroporto di Narita, Tokyo, a voi studio.