28 Giugno 2014

Tra Angela e Luigi

Appunti

Da sostenitore di Matteo Renzi dal tempo in cui la cosa non era statisticamente così diffusa, non sono sorpreso per il consenso crescente e l’apprezzamento sempre più vasto che Renzi riscuote. E non sono certamente geloso del ruolo di “renziano della prima ora”, anzi: in questo caso è più vero che mai che più siamo, meglio stiamo. Certo, ci sarà anche quel tanto di abitudine italiana a correre in soccorso del vincitore, quel po’ di opportunismo che in politica è sempreverde, ma ritengo che nella maggior parte dei casi questo successo dipenda solo dal fatto che “le cause giuste convincono gli uomini onesti”, come disse una volta Giuseppe Di Vittorio.

Devo dire che l’entusiasmo per il Presidente del Consiglio è tale che qualche volta si dimentica che il cammino non è stato così semplice e piano. Se non ci fossero Google e la sua indelebile memoria, si farebbe fatica a credere che solo due anni fa l’uomo del giorno fosse oggetto di una vastissima produzione letteraria sull’ebetino, il battutista senza qualità, l’inconsistente e pasticcione apprendista stregone del rinnovamento. Quello che “ve lo immaginate uno così a incontrare i grandi del mondo”. La parabola renziana sembra in questo senso un esempio concreto della celebre proposizione di Gandhi: prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci.

Attenzione, però: l’omaggio devozionale al carisma del segretario-premier rischia di essere l’antipodo simmetrico ed equivalente del disprezzo di ieri. Allora come oggi, questa cortina retorica potrebbe fungere da abbagliante per non comprendere la forza di una proposta e di una politica. Matteo è un leader, non un profeta. Fa bene il presidente del Consiglio e il segretario del Pd perché ha delle idee. La verve e il look sono al limite il contorno, non certamente il piatto.

Gli ultimi giorni ne hanno fornito l’esempio: in due contesti diversissimi e con interlocutori diversissimi, Renzi ha avuto la capacità non di imporre le sue idee (atto che sarebbe sconsiderato anche avendone la forza), ma di dettare l’agenda. Le braccia aperte alla richiesta di dialogo del Movimento Cinquestelle e la disponibilità ad indicare Jean-Claude Juncker come presidente della Commissione Europea sono state accompagnate da precise premesse, condizioni e margini. Mi piace l’idea che il mio presidente del Consiglio sappia parlare con lo stesso rispetto, ma anche con la stessa determinazione, a Luigi Di Maio e ad Angela Merkel, che affronti personalmente (che “ci metta la faccia”, direbbe lui) la questione dell’ampiezza dei collegi elettorali della Camera e quella della flessibilità dei parametri di Maastricht.

Sono questioni diverse per merito e per portata, ma contribuiscono all’ambizione, allo sforzo storico di rappresentare una nuova Italia in Europa e una nuova Europa in Italia. Mercoledì a Strasburgo Renzi illustrerà ai 751 deputati dell’Europarlamento il programma della presidenza di turno italiana. Un semestre che per diverse ragioni non è e non sarà identico agli altri. È per questo, per la crucialità evidente di questo momento, che trovo abbastanza insulse le analisi per cui Matteo avrebbe il problema di un gruppo parlamentare a Montecitorio e a Palazzo Madama che sarebbe “il gruppo di Bersani”. Non è vero, come non è vero che a Bruxelles ci sia “il gruppo di Renzi”. Ci sono i deputati europei e nazionali del Pd; con i loro talenti, le loro capacità, le loro visioni.

Non sono al servizio di Renzi gli eurodeputati, né contro Renzi i senatori. Né devono esserlo. Sono, siamo, tutti al servizio (e spero vivamente lo si sia in modo coordinato) dell’Italia e di una certa idea di essa: né arrogante, né stracciona, né angelicata, né mostruosa. Un’Italia consapevole sia dei suoi problemi ma anche della sua forza. Come spero si mantenga sempre – più che mai adesso che tutti sono con lui – il mio amico Matteo Renzi.

Una risposta a “Tra Angela e Luigi”

  1. abbi ha detto:

    “non sono sorpreso per il consenso crescente e l’apprezzamento sempre più vasto che Renzi riscuote”.
    Nel senso che gli italiani deludono immancabilmente.
    Una certezza del peggio che avanza.