25 Giugno 2014

Sempre bene parlarsi

Appunti

La proposta di dialogo e di confronto del Movimento Cinquestelle sulla legge elettorale rappresenta per me, insieme alla parallela richiesta di dialogo della Lega, la migliore notizia del dopo-elezioni. Non entro nel merito delle raffinate analisi politologiche o nelle dietrologie più o meno fondate sulla mossa del duo Grillo-Casaleggio. Per me si tratta di una buona notizia, perché l’edificio costituzionale (di cui la legge elettorale è tassello implicito, ma importante) riguarda non solo tutti quelli che in Italia vivono, ma anche quelli che ci vivranno. La provvisoria maggioranza e la provvisoria opposizione di oggi devono avvertire per intero la responsabilità di formulare norme non legate alla contingenza. È quindi non solo giusto, ma doveroso, andare al confronto con tutti ed andarci con animo aperto.
Certo, il modo di concepire un confronto da parte dei pentastellati è un po’ curioso: una minoranza formula una proposta e chiede alla maggioranza di accoglierla o comunque di assumerla a base di discussione, fermo restando che qualsiasi modifica si concordi, dovrà comunque essere ratificata “dalla Rete”. Tuttavia, siccome da quindici mesi o giù di lì ci stiamo tutti sgolando perché i Cinquestelle si decidano a impiegare in modo più costruttivo la grande forza che hanno ricevuto dagli elettori, salutiamo con soddisfazione questo atto che fa almeno intravvedere qualcosa in tal senso.
Detto questo, il merito delle soluzioni proposte resta estremamente distante. Sia chiaro, la proposta elaborata dal Movimento anche attraverso consultazioni laboriose, non ha nulla di scandaloso. Come spesso avviene in questa materia, si tratta di un patchwork che cerca di coniugare il sistema proporzionale con sbarramento alla tedesca (ma con le preferenze anziché con i collegi), il sistema spagnolo che premia l’insediamento regionale; la tecnica del panachage o voto disgiunto, con l’introduzione della preferenza negativa e così via.
Il problema è che questa legge elettorale, senza premio di maggioranza e quindi in grado di garantire maggiore rappresentatività, non risolve il parallelo problema della governabilità, e più precisamente quello della scelta del Governo da parte dell’elettore. Se adottassimo il democratellum, come Grillo chiama la sua proposta, l’Esecutivo nascerebbe in Parlamento dall’accordo fra i diversi partiti, proprio come avveniva ai tempi della Prima Repubblica. Un incentivo alle continue crisi ministeriali e alla rissosità permanente, per giunta senza la garanzia democratica che i grandi partiti di massa, nel bene e nel male, hanno rappresentato.
Per consentire ai cittadini di scegliere non solo chi li rappresenterà in Parlamento ma anche chi li governerà (tema che non può essere disinvoltamente accantonato in nessuna democrazia), abbiamo solo due strade percorribili: una è l’elezione diretta del presidente della Repubblica, secondo il modello della V Repubblica francese.
Un sistema che non va mostrificato (in seno alla Costituente lo propose uno che si chiamava Piero Calamandrei), ma che per molte ragioni è indigesto alle culture politiche fondative del Partito Democratico, e che ritengo personalmente inadeguato alla storia e alla morfologia del nostro Paese.
L’altra via è quella di una legge elettorale maggioritaria, di cui l’Italicum (che è il frutto di un accordo fra diversi, non “la proposta del Pd”) rappresenta un esempio. La proposta che i capigruppo M5S e De Maio discuteranno in streaming con Matteo Renzi ha il problema, con tutto il rispetto, di non rispondere alla domanda che è sul tappeto, che è: come facciamo a rendere le nostre istituzioni efficienti e comprensibili dal cittadino-elettore? Il nostro progetto di riforma, di cui l’Italicum è parte, e che ovviamente può essere discusso, criticato ed emendato come si vuole, è una risposta. La proposta Cinquestelle no, almeno per ora, almeno così com’è.
Difficile quindi che questo confronto di merito porti a risultati concreti. Ma parlarsi resta importante.