6 Giugno 2013

La mia relazione sulla proposta di legge contro l’omofobia e la transfobia

Attività parlamentare, Diritti, Laicità, XVII Legislatura

La mia relazione di oggi avanti alla Commissione Giustizia della Camera, sulla proposta di legge n. 245 (Scalfarotto, Zan, Tinagli, Chimienti e altri) recante “Modifiche alla legge 13 ottobre 1975, n. 654, e al decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, per il contrasto dell’omofobia e della transfobia”.

Attenti che è lunga.

Matthew Shepard nacque a Casper, nel Wyoming, il 1° dicembre 1976. Era il primo figlio di Dennis Shepard e Judy Peck Shepard. I suoi genitori vissero per un certo periodo in Arabia Saudita, dove suo padre lavorava per una compagnia petrolifera, così Matthew si diplomò presso la scuola americana in Svizzera. Poi si iscrisse a Scienze Politiche, all’Università dello Wyoming. Suo padre lo ricorda come un “giovane uomo ottimista e aperto, con un dono molto speciale che gli consentiva di stabilire una relazione praticamente con chiunque. Era un tipo di persona con cui era facile fare amicizia ed era uno sempre alla ricerca di nuove sfide. Matthew aveva una grande passione per l’uguaglianza ed era uno che non aveva paura di battersi per l’accettazione delle differenze tra le persone”.

Subito dopo la mezzanotte del 7 ottobre 1998 Matthew, che allora aveva 21 anni, incontrò in un bar Aaron James McKinney e Russell Arthur Henderson. Secondo McKinney, Shepard chiese loro un passaggio a casa. Matthew fu derubato, picchiato selvaggiamente, legato ad una staccionata e lasciato lì a morire, solo a causa della sua o omosessualità. Matthew fu trovato 18 ore dopo da un ciclista di passaggio, che inizialmente lo aveva scambiato per uno spaventapasseri, vivo e in stato di incoscienza.

Matthew aveva una frattura dalla nuca fino oltre l’orecchio destro. Parte del cervello era stata danneggiata in modo tale da risultare compromessa la capacità del suo corpo di regolare il battito cardiaco, la temperatura corporea e altre funzioni vitali. C’era inoltre circa una dozzina di piccole ferite sulla testa, sul collo e sulla faccia. È stato riportato che Matthew era stato colpito con una violenza tale da ricoprire il suo volto completamente di sangue, ad eccezione di dove era stato lavato dalle sue stesse lacrime. I medici giudicarono le sue lesioni troppo gravi per poter essere operate. Matthew non riprese più conoscenza e rimase sempre in rianimazione. Morì alle 00.53 del 12 ottobre 1998 all’ospedale Poudre Valley a Fort Collins, in Colorado. La polizia arrestò McKinney e Henderson poco dopo, trovando l’arma insanguinata, le scarpe della vittima e la carta di credito nel loro camion.

Il 29 ottobre 2009 il Presidente Obama ha promulgato una legge che punisce l’odio nei confronti delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e transgender. Si chiama il Matthew Shepard Act.

Andrea, invece, era di Roma e aveva 15 anni. Si è ucciso nella sua città il 22 novembre del 2012, l’anno scorso. Lo ricordiamo tutti come “il ragazzo dai pantaloni rosa”. Perché aveva, appunto, dei pantaloni rosa. E poi metteva lo smalto rosa, e aveva anche un quaderno, sempre rosa. Non sappiamo se fosse omosessuale oppure no. Sappiamo però che il suo comportamento non era quello giusto, quello che i suoi compagni di scuola si aspettavano da lui. Un ragazzo non mette lo smalto, non si veste di rosa. E infatti qualcuno sul muro della scuola aveva scritto: ‘Non vi fidate del ragazzo con i pantaloni rosa, è frocio’. Così Andrea si è stretto una sciarpa intorno al collo, si è lasciato andare, ed è morto con i suoi 15 anni.

Il giorno dopo qualcuno scrisse su un blog: “Chiamatela pure omofobia se volete, anche se io ancora non riesco a capirlo questo termine. Omo-fobia: paura dei gay? Paura di chi viene periodicamente pestato a morte? Paura di chi subisce ogni giorno, sotto la nostra indifferenza, violenze psicologiche? A me più che paura sembra odio, perché l’odio è sempre più facile, perché l’amore deve essere corrisposto, l’odio no. Perché l’odio crea facilmente gruppo: si trova un bersaglio e gli si indirizza contro tutto il nostro odio, come se un odio condiviso fosse più giustificabile.”

Ecco. Negli Stati Uniti oggi esiste il Matthew Shepard Act. Qui da noi in Italia, no. Nessuno ha ancora dato una legge che ricordi Andrea e i suoi pantaloni rosa, e che aiuti a evitare che si ripetano casi come il suo. La legge per quelli coi pantaloni rosa non è ancora stata varata. Così come non è ancora stata varata una legge che protegga dall’odio le persone transessuali e transgender, un gruppo talmente odiato in tutto il mondo da essere l’unica minoranza che ha dovuto inventarsi una celebrazione, il TDOR (Transgender Day of Remembrance), per ricordare i propri morti, uccisi per ragioni di odio. Per chi ancora non lo sapesse, si celebra ogni 20 novembre, tutti gli anni, dal 1999.

E’ per questo che siamo qui, oggi. Per cominciare il cammino che ci conduca finalmente ad approvare una legge non tanto contro l’omofobia, la paura dei gay, ma contro l’odio verso di essi. Una legge di civiltà, in nessun modo ideologica, che serva in primo luogo a dire al Paese che la nostra comunità nazionale ripudia ogni forma di odio, incluso quello omofobico e transfobico. Una legge, poi, che spieghi bene che l’”omofobia” e la “violenza omofobica” sono due cose ben diverse. Perché l’omofobia, per essere tale, proprio come il razzismo, non richiede necessariamente la violenza fisica.

Il testo in esame non intende raggiungere il suo scopo creando una nuova fattispecie di reato, al contrario. Ciò che la proposta di legge intende fare è utilizzare norme già da tempo in vigore nel nostro ordinamento. Con la proposta di legge della quale discutiamo, infatti, si estendono alle discriminazioni fondate sull’identità sessuale della vittima i reati puniti dalla legge n. 654 del 1975 (cosiddetta «Legge Reale») – che ha reso esecutiva la convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, fatta a New York il 7 marzo 1966 – legge poi modificata dal decreto-legge n. 122 del 1993 (cosiddetto «Decreto Mancino»), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 205 del 1993.

In buona sostanza si vuole equiparare l’odio basato sull’orientamento sessuale, l’identità di genere o il ruolo di genere della vittima a quello, già riconosciuto e punito nel nostro ordinamento, basato su motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. In questo modo si rimuove l’irrazionale differenza che esiste nel nostro Paese, per esempio, tra l’apporre uno striscione gravemente razzista in uno stadio, il che può – almeno in teoria – configurare una condotta antigiuridica, e l’apporre il medesimo striscione, riportante le medesime parole di dileggio, nei confronti delle persone omosessuali. In questo caso non di reato si tratterebbe, ma di semplice espressione del pensiero, posto che la legge penale non prevede che l’omofobia sia una forma d’odio perseguita dalla legge. E posto che in una democrazia, in uno Stato di diritto, tutto ciò che non è vietato è, deve essere, permesso.

Sembra una cosa semplice, sulla quale essere tutti d’accordo, eppure non è così. La prima proposta per una legge per il contrasto all’omofobia e la transfobia fu depositata nel 1993 e dopo venti anni non ne abbiamo ancora una in vigore. Non voglio ritornare in questo momento alle vicende che hanno impedito a precedenti proposte di legge di giungere a buon fine, ma voglio richiamare alcune delle principali obiezioni che si sono sollevate come ostacoli all’approvazione di una legge così tanto attesa e così necessaria.

Si è spesso sostenuto, per esempio, che l’estensione della legge Mancino ad ipotesi in cui la condotta discriminatoria abbia a proprio fondamento l’omosessualità o transessualità della vittima possa comportare l’introduzione nell’ordinamento di un reato di opinione, in contrasto con i principi costituzionali.

Ebbene, in realtà questa preoccupazione non è fondata come risulta evidente dal solo fatto che la Corte Costituzionale non ha mai sancito l’illegittimità costituzionale della legge Reale-Mancino. La proposta in esame si limita ad estendere il contenuto di questa legge ad ulteriori ipotesi connesse alle condizioni personali della vittima oltre che a riportare la formulazione della fattispecie penale al testo antecedente alle modifiche apportate nel 2006, quando le condotte di “diffusione” e “incitamento” alla discriminazione sono state sostituite rispettivamente a quelle di “propaganda” ed “istigazione” del testo precedente.

A questo proposito ricordo che neanche la formulazione antecedente al 2006 era stata oggetto di censure di illegittimità costituzionale.

Dalla stessa applicazione giurisprudenziale della “legge Reale-Mancino” risulta chiaro che molte delle ipotesi di scuola che vengono oggi richiamate per dimostrare i rischi dell’introduzione di reati di opinione sono in realtà dei casi che nel diritto penale vengono ricondotti alla categoria dei “reati impossibili”, in quanto la condotta non sarebbe idonea a ledere o a porre in pericolo il bene giuridico protetto, così come questo si può evincere in via interpretativa dalla nozione di discriminazione per come questa risulta dall’ordinamento e, in particolare, dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo; dalla Convenzione di New York del 1966 sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale; dall’articolo 43, comma 1, del testo unico sull’immigrazione di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, successivamente meglio puntualizzato nella direttiva 2000/43/CE del Consiglio Europeo, recepita con il decreto legislativo n. 215 del 2003; nonché nella direttiva 2000/78/CE del Consiglio Europeo, recepita con il decreto legislativo n. 216 del 2003, che fa menzione anche dell’orientamento sessuale. In sostanza in molti di quegli esempi addotti per dimostrare l’incostituzionalità o, quanto meno, l’inopportunità dell’estensione della legge Reale-Mancino alla discriminazione nei confronti di omosessuali o transessuali, ciò che viene a mancare è la lesione del bene giuridico.

Si è sostenuto poi che la locuzione «orientamento sessuale», pur ricorrendo in fonti di diritto internazionale e comunitario nonché di ordinamenti stranieri, dovesse essere adeguatamente definita prima di poter essere introdotta nell’ordinamento italiano, anche al fine di garantire il rispetto del principio costituzionale di determinatezza della fattispecie penale”.

Considerato che con la proposta di legge in esame questa nozione è introdotta in una norma penale, opportunamente, per evitare dubbi di costituzionalità sotto il profilo della determinatezza della fattispecie, l’articolo 1 contiene la definizione di “identità sessuale”, considerata come l’insieme, l’interazione o ciascuna delle seguenti componenti: sesso biologico, identità di genere, ruolo di genere e orientamento sessuale. Il testo specifica anche le nozioni di “identità di genere”, “ruolo di genere” e “orientamento sessuale”. E’ bene precisare che si tratta di definizioni che sono pacificamente riconosciuti dalla legislazione e dalle scienze psico-sociali, che nulla hanno in comune con comportamenti genericamente afferenti alla sfera sessuale.

E tuttavia è necessario inoltre ribadire che in ogni caso l’espressione “orientamento sessuale” è già presente nella legislazione italiana. Ad esempio:

Con riferimento alla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, il D.Lgs. 216/2003, di attuazione della direttiva 2000/78/CE, stabilisce che parità implica assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della religione, delle convinzioni personali, degli handicap (o meglio: delle disabilità), dell’età o dell’orientamento sessuale (art. 2).

Il decreto legislativo n. 276 del 2003, in materia di occupazione e mercato del lavoro, vieta poi in particolare alle agenzie per il lavoro e agli altri soggetti pubblici e privati di effettuare qualsivoglia indagine sull’orientamento sessuale dei lavoratori (art. 10).

Nel D.Lgs. n. 165 del 2001 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), l’art. 7 afferma che le pubbliche amministrazioni «garantiscono parità e pari opportunità tra uomini e donne e l’assenza di ogni forma di discriminazione, diretta e indiretta, relativa al genere, all’età, all’orientamento sessuale, alla razza, all’origine etnica, alla disabilità, alla religione o alla lingua, nell’accesso al lavoro, nel trattamento e nelle condizioni di lavoro, nella formazione professionale, nelle promozioni e nella sicurezza sul lavoro».

Bisogna inoltre fare riferimento alla fondamentale sentenza n. 161 del 1985 della Corte Costituzionale. In questa sentenza il giudice costituzionale, facendo riferimento alla legge n. 164 del 1982, recante “Norme in materia di rettificazione e attribuzione di sesso”, afferma espressamente che il legislatore italiano ha accolto “un concetto di identità sessuale nuovo e diverso rispetto al passato, nel senso che ai fini di una tale identificazione viene conferito rilievo non più esclusivamente agli organi genitali esterni, quali accertati al momento della nascita ovvero “naturalmente” evolutisi, sia pure con l’ausilio di appropriate terapie medico-chirurgiche, ma anche ad elementi di carattere psicologico e sociale. Presupposto della normativa impugnata è, dunque, la concezione del sesso come dato complesso della personalità determinato da un insieme di fattori, dei quali deve essere agevolato o ricercato l’equilibrio, privilegiando – poiché la differenza tra i due sessi non é qualitativa, ma quantitativa – il o i fattori dominanti”.

L’identità sessuale che la proposta di legge in esame vuole tutelare è pertanto una nozione che ha già una valenza giuridica nel nostro ordinamento.

Un’altra obiezione che si è sollevata è quella della potenziale violazione dell’articolo 3 della Costituzione, che sancisce il principio di uguaglianza. Secondo i sostenitori di questa tesi, chi subisce violenza per ragioni di orientamento sessuale riceverebbe una protezione privilegiata rispetto a chi subisce violenza tout court. A questa obiezione deve rispondersi che, evidentemente, in questo caso ciò che rileva non è tanto la qualità soggettiva dell’identità sessuale della vittima del reato, quanto il motivo del reato stesso e cioè il fatto che il reo fosse stato spinto dall’odio omofobico o transfobico. Vale la pena citare a questo proposito la Sentenza 12 gennaio 2012, n. 563 della 5° sezione penale della Corte di Cassazione secondo la quale “Integra il reato di minaccia aggravato dalla circostanza della finalità di discriminazione o di odio etnico, razziale o religioso (art. 612 cod. pen. e 3 D.L. n. 122 del 1993, conv. in l. n. 205 del 1993), la condotta di colui che effettui telefonate all’indirizzo della persona offesa – nella specie docente di storia e studiosa delle persecuzioni razziali antisemite avvenute in Italia durante l’occupazione nazista – prospettandole alcuni mali ingiusti, rientranti nel genere di quelli praticati in un lager nazista (stupro etnico razziale), e manifesti odio nei confronti del popolo ebraico ed esultanza per le persecuzioni di cui è stato vittima, considerato che la finalità di odio razziale e religioso – integrante l’aggravante in questione – sussiste non solo quando il reato (nella specie minaccia) sia rivolto ad un appartenente al popolo ebraico, in quanto tale, ma anche quando sia indirizzato a coloro che, per le più diverse ragioni, siano accomunati dall’agente alla essenza e ai destini del detto popolo.

In ultimo non è inutile affrontare anche la più bizzarra delle obiezioni, quella per cui non vi sarebbe bisogno di estendere la Legge Mancino all’omofobia e alla transfobia in quanto già esiste nel codice penale una aggravante comune dei “futili motivi”. A questa singolare teoria si può serenamente obiettare che una eventuale aggressione nei confronti di un gay, di una lesbica o di una persona transessuale o transgender è un atto grave che mina le fondamenta della società civile nella quale viviamo. In una democrazia e in uno Stato di diritto le persone, tutte, devono essere sempre libere di esprimere a pieno, nel rispetto della legge, la loro personalità. Va da sé quindi che il “motivo” in questo caso sarebbe non “futile” ma di inaudita gravità.

A conclusione di questa relazione ritengo opportuno fare riferimento alla normativa di stampo europeo in materia, affinché risulti chiaro sin dall’avvio di questo nuovo iter legislativo che non stiamo affrontando questioni stravaganti od anomale appunto, ma che stiamo invece trattando di “diritti”, ed in particolare del diritto di ciascuna persona di essere appunto se stessa senza il rischio di essere discriminata.

E non potrà purtroppo sfuggirci la responsabilità del gravissimo ritardo che il nostro legislatore – e cioè noi, onorevoli colleghi – porta nei confronti dei trattati e delle linee guida in tema di discriminazione dell’Unione Europea e delle legislazioni dei paesi nostri amici e partner nell’Unione.

Provvedimenti mirati alla specifica tutela di omosessuali e transessuali si rintracciano nell’ambito degli interventi attuati a livello europeo per prevenire ogni discriminazione fondata sull’orientamento sessuale.

In base all’articolo 2 del Trattato sull’Unione europea (cd “Trattato di Lisbona”), l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, dell’uguaglianza e della tutela dei diritti umani.

L’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (dotata dello stesso valore giuridico dei Trattati) sancisce il divieto di qualsiasi discriminazione fondata sulle tendenze sessuali.

Inoltre, sempre il Trattato di Lisbona afferma, all’articolo 10, che «nella definizione e nell’attuazione delle sue politiche e azioni, l’Unione mira a combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale».

Il divieto di discriminazioni per motivi legati all’orientamento sessuale trova un ulteriore riferimento normativo nell’articolo 19. La disposizione prevede che «il Consiglio, deliberando all’unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa approvazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale».

La lotta contro l’omofobia costituisce peraltro una delle priorità del Programma 2010-2014 per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia (Programma di Stoccolma), adottato dal Consiglio europeo nel dicembre 2009. Il Programma sottolinea in particolare che «poiché la diversità è una fonte di ricchezza per l’Unione, l’Unione e gli Stati membri devono garantire un ambiente sicuro in cui le differenze siano rispettate e i più vulnerabili siano tutelati. Occorre continuare a lottare con determinazione contro le discriminazioni, il razzismo, l’antisemitismo, la xenofobia e l’omofobia».

In questo quadro si collocano le più recenti iniziative adottate dalle istituzioni UE, con riferimento sia alla situazione all’interno degli Stati membri che all’azione esterna dell’Unione europea. In particolare, per quanto riguarda gli ultimi interventi legislativi dell’Unione, disposizioni volte a tutelare le persone in condizione di vulnerabilità in ragione del loro orientamento sessuale sono contenute nella direttiva 2011/95/UE recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, sotto il profilo del riconoscimento della sussistenza di rischio di persecuzione. Lo stesso accade nella proposta di direttiva, tuttora in corso di esame da parte delle istituzioni europee, relativa a procedure per la concessione e la revoca dello status conferito dalla protezione internazionale (COM(2011)319).

Il tema della lotta all’omofobia è stato più volte affrontato dal Parlamento europeo che annualmente ha approvato risoluzioni volte a coinvolgere nella lotta all’omofobia le attività degli Stati membri e della Commissione europea. Si ricordano, ad esempio, la risoluzione sull’omofobia in Europa del 6 aprile 2007 con la quale il Parlamento ha chiesto alla Commissione di garantire che la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale in tutti i settori sia vietata completando il pacchetto legislativo contro la discriminazione basato sull’articolo 13 del trattato CE, «senza il quale lesbiche, gay, bisessuali e altre persone che si trovano a far fronte a discriminazioni multiple continuano ad essere a rischio di discriminazione».

Da ultimo, la risoluzione del Parlamento europeo del 24 maggio 2012, sulla lotta all’omofobia in Europa, «condanna con forza tutte le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere e deplora vivamente che tuttora, all’interno dell’Unione europea, i diritti fondamentali delle persone LGBT non siano sempre rispettati appieno; invita pertanto gli Stati membri a garantire la protezione di lesbiche, gay, bisessuali e transgender dai discorsi omofobi di incitamento all’odio e dalla violenza e ad assicurare che le coppie dello stesso sesso godano del medesimo rispetto, dignità e protezione riconosciuti al resto della società; esorta gli Stati membri e la Commissione a condannare con fermezza i discorsi d’odio omofobi o l’incitamento all’odio e alla violenza nonché ad assicurare che la libertà di manifestazione, garantita da tutti i trattati sui diritti umani, sia effettivamente rispettata» e «ritiene che i diritti fondamentali delle persone LGBT sarebbero maggiormente tutelati se esse avessero accesso a istituti giuridici quali coabitazione, unione registrata o matrimonio; plaude al fatto che sedici Stati membri offrono attualmente queste opportunità e invita gli altri Stati membri a prendere in considerazione tali istituti».

Ancor più recentemente, nella risoluzione adottata il 12 dicembre 2012 sulla situazione dei diritti fondamentali nell’UE, il Parlamento europeo ha invitato la Commissione e il Consiglio a:

Innanzi tutto di intervenire in modo più incisivo contro l’omofobia, la violenza e la discriminazione basate sull’orientamento sessuale, anche chiedendo ai sindaci e alle forze di polizia degli Stati membri di proteggere la libertà di espressione e di manifestazione in occasione delle marce dell’orgoglio LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender);

Ha chiesto poi di utilizzare i risultati dell’indagine in corso dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) al fine di dare finalmente seguito alle ripetute richieste da parte del Parlamento europeo e delle ONG;

E infine di presentare urgentemente la tabella di marcia dell’UE per l’uguaglianza fondata sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere da adottare entro il 2014.

Con riferimento ai contenuti delle citate risoluzioni del Parlamento europeo, si ricorda che l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (Fundamental Rights Agency, FRA) ha pubblicato, nel luglio 2011, lo studio “Homophobia, Transphobia and Discrimination on Grounds of Sexual Orientation and Gender Identity in the EU Member States”. Ulteriori conclusioni in materia, sulla base di una ricerca tuttora in corso, dovrebbero essere presentate nelle prossime settimane.

In tale studio, sottolineando come la legislazione e l’accettazione pubblica procedano di pari passo, l’Agenzia raccomanda di:

a. sostenere gli impegni per una direttiva “orizzontale” in grado di garantire una equa tutela dalle discriminazioni di qualunque natura, comprese quelle basate sull’orientamento sessuale ;

b. garantire un livello di tutela contro gli episodi di omofobia e transfobia che sia pari a quello garantito nel caso di incitamento all’odio e reati ispirati dall’odio motivati da razzismo o xenofobia;

c. garantire l’adeguata applicazione della tutela giuridica per le persone transgender già esistente e disposta dal diritto dell’Unione europea.

Per quanto riguarda le iniziative UE nel settore delle relazioni esterne, si segnala che nel giugno 2010 il Gruppo “Diritti umani” istituito in seno al Consiglio dell’Unione europea ha adottato uno strumentario per la promozione e la tutela dell’esercizio di tutti i diritti umani da parte di lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT).

Il documento contiene riferimenti agli strumenti giuridici internazionali e regionali, alle dichiarazioni e alle altre norme disponibili per la promozione e tutela dei diritti umani delle persone LGBT nonché una griglia di elementi di analisi e controllo al fine di valutare la situazione dei diritti umani delle persone LGBT. In tal modo il documento intende fornire al personale delle istituzioni dell’UE, delle capitali degli Stati membri, delle delegazioni, rappresentanze e ambasciate dell’UE, strumenti operativi da utilizzare nei contatti con i paesi terzi e con le organizzazioni internazionali (ONU, Consiglio d’Europa, OSCE) e della società civile al fine di promuovere e tutelare i diritti umani delle persone LGBT nell’ambito dell’azione esterna dell’UE.

Insomma, cari colleghi, verrebbe da dire: “E’ l’Europa che ce lo chiede!”, un’espressione spesso legata soltanto ai sacrifici economici che sono richiesti ai popoli europei e che invece dovrebbe avere a che fare anche con i diritti e la creazione di una società veramente rispettosa e inclusiva.

E’ da dire che anche da un veloce sguardo alla legislazione degli altri Paesi si coglie il ritardo della legislazione italiana nell’affrontare il tema del contrasto all’omofobia e transfobia. Diversi Stati europei hanno infatti introdotto nei loro ordinamenti, soprattutto nell’ultimo decennio, nuovi strumenti normativi idonei ad una migliore tutela legale contro la discriminazione per orientamento sessuale.

Per quanto riguarda, in particolare, la legislazione penale in materia di omofobia, gran parte dei paesi europei ha modificato le normative nazionali per adeguarle alla lotta contro la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale della vittima. Alcuni Stati hanno riconosciuto il principio di non discriminazione addirittura nelle loro Costituzioni o ne hanno esteso, in via interpretativa, l’applicazione alla discriminazione per omofobia, ma la maggior parte dei paesi europei hanno previsto esplicitamente il reato di discriminazione e/o hanno introdotto il movente omofobo quale circostanza aggravante per taluni reati.

Il Belgio consacra il principio di non discriminazione nella sua Costituzione (Costituzione, artt. 10 e 11), pur senza menzionare espressamente le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale. Dal 2003 il legislatore belga ha ampliato il campo delle discriminazioni condannabili, includendo con disposizioni specifiche a livello federale anche l’orientamento sessuale tra i motivi di discriminazione illegittima, ma è con il pacchetto di leggi federali anti-discriminazione del 2007 (legge del 10 maggio 2007) che ha previsto uno specifico “divieto di discriminazione” (art. 3) nei settori della vita pubblica rientranti nel campo di applicazione della legge. Il legislatore belga non ha introdotto un generale “reato di discriminazione” fondato sull’orientamento sessuale per i cittadini comuni, ma ha previsto la penalizzazione di taluni atti e comportamenti discriminatori di natura omofobica (artt. 21-24). La legge del 2007 ha inoltre introdotto il movente fondato sull’orientamento sessuale tra le circostanze aggravanti per alcuni reati disciplinati dal Codice penale, quali aggressione, omicidio, stupro, stalking, incendio doloso, diffamazione e calunnia, profanazione di tombe, atti di vandalismo ed altri (artt. 377bis, 405quater, 422quater, 438bis, 453bis, 514bis, 525bis, 532bis, 534bis).

Anche le tre Comunità belghe (fiamminga, francofona e germanofona) e le Regioni (Bruxelles, Fiandre e Vallonia) hanno adottato, a partire dal 2002, diversi decreti nell’intento di assicurare coerenza legislativa con la normativa antidiscriminazione approvata a livello federale.

La Francia prevede norme direttamente applicabili alla lotta contro la omofobia. A partire dal 2003, il legislatore francese ha ammesso l’omofobia fra gli elementi identificativi per alcune infrazioni penali disciplinate dal Codice penale, come nel caso del reato di discriminazione (artt. da 225-1 a 225-4, art. 432-7) ed ha riconosciuto la circostanza aggravante per i reati o delitti commessi in ragione dell’orientamento sessuale della vittima (art. 132-77). Successivamente, nel 2004, ha disposto un aggravamento delle pene in caso di discriminazione, estendendo alle minacce, al furto e all’estorsione (artt. 222-18-1, 311-4 e 312-2) le fattispecie di reato cui può essere applicata la circostanza aggravante a carattere omofobo. Infine, nel 2012, il legislatore ha ulteriormente rafforzato la legislazione francese contro la discriminazione omofobica inserendo accanto a quello di “orientamento sessuale” anche il concetto di “identità sessuale” negli articoli dei Codici penale e di procedura penale, dei Codici del lavoro e dello sport e di alcune leggi, riguardanti reati o comportamenti motivati da discriminazione. È stato, ad esempio, modificato l’art. 225-1 del Codice penale, in base al quale attualmente “costituisce una discriminazione ogni distinzione operata tra persone fisiche in ragione della loro origine, il loro sesso, la loro situazione familiare, il loro stato di gravidanza, la loro apparenza fisica, il loro patronimico, il loro stato di salute, il loro handicap, le loro caratteristiche genetiche, le loro tradizioni, il loro orientamento o la loro identità sessuale…”. Sono altresì punite la provocazione non pubblica alla discriminazione, all’odio o alla violenza (art. R625-7) e la la diffamazione e l’ingiuria non pubbliche nei confronti di una persona o un gruppo di persone in ragione dell’orientamento sessuale (art. R624-3 e R624-4).

Anche la legge francese del 29 luglio 1881 sulla libertà di stampa contiene disposizioni a carattere anti-discriminatorio, prevedendo i reati di provocazione pubblica alla discriminazione, all’odio o alla violenza (art. 24), di diffamazione a mezzo stampa (o altro strumento di comunicazione) nei confronti di una persona o un gruppo di persone in ragione del loro orientamento sessuale, vero o presunto (art. 32) e di ingiuria a mezzo stampa (o altro strumento di comunicazione) rivolta ad una persona o un gruppo di persone per motivi omofobici (art. 33).

In Germania il reato di discriminazione per l’orientamento sessuale non è previsto in modo esplicito così come il motivo omofobico non è espressamente riconosciuto tra le circostanze aggravanti. Tuttavia il Codice penale (Strafgesetzbuch – StGB) (art. 130, comma 1) punisce con la detenzione colui che, in maniera tale da disturbare la pace pubblica, incita all’odio o alla violenza contro elementi della popolazione o lede la dignità di altre persone attraverso insulti o offese e prevede una pena detentiva o una pena pecuniaria anche per chi commette gli stessi illeciti attraverso la diffusione di opere scritte (art. 130, comma 2). Sebbene il Codice penale non faccia un esplicito riferimento al background omofobico di colui che perpetra il reato, nella definizione data all’articolo 130 rientra anche la discriminazione effettuata in ragione dell’orientamento sessuale. Anche per quanto riguarda le circostanze attenuanti e aggravanti che devono essere valutate dal giudice nel formulare una sentenza (Codice penale, art. 46), non vi è una esplicita previsione rispetto all’omofobia, ma un generico richiamo alle motivazioni e finalità dell’atto oltre che alle convinzioni e agli intenti del reo.

Nei Paesi Bassi la Costituzione stabilisce che “è vietata ogni discriminazione fondata sulla religione, le convinzioni personali, le opinioni politiche, la razza, il sesso od ogni altro motivo” (art. 1). Le parole “ogni altro motivo” furono inserite proprio per includere gli atti di discriminazione nei confronti delle persone omosessuali e la stessa giurisprudenza in materia ha in genere interpretato in tal senso il dettato dell’art. 1. Né il Codice penale, né il Codice di procedura penale prevedono l’orientamento sessuale della vittima quale circostanza aggravante. Tuttavia dal 1° dicembre 2007 è in vigore una circolare del Public Prosecution Service (l’organo titolare dell’azione penale), che impone, al momento della formulazione della richiesta di pena, un aumento del 25% della pena prevista per un determinato reato se questo è legato a una forma di discriminazione, inclusa quella relativa all’orientamento sessuale.

Il Portogallo, con la riforma del 2004, ha incluso nella Costituzione l’orientamento sessuale fra i fattori vietati di discriminazione (Costituzione, art. 13, comma 2) oltre alle diverse disposizioni che assicurano il rispetto del principio di eguaglianza e non discriminazione in diversi campi della vita economica, sociale e politica dei cittadini. Nel 2007 la riforma del Codice penale (Legge n. 59/2007) ha introdotto alcune misure che rafforzano l’arsenale repressivo per combattere il fenomeno dell’omofobia. Il legislatore ha previsto il reato di incitamento alla discriminazione, all’odio e alla violenza verso persone fisiche, in ragione della loro razza, colore, origine etnica o nazionale, religione, sesso o orientamento sessuale (Codice penale, art. 240) ed ha riconosciuto l’intento dell’omofobia come una circostanza aggravante per alcuni reati, quali l’omicidio aggravato (Codice penale, art. 132) e l’offesa aggravata all’integrità fisica (Codice penale, art. 145).

Nel Regno Unito una specifica definizione dell’omofobia non è prevista in modo esplicito nei testi legislativi; il fenomeno ha tuttavia rilevanza penale nel quadro più generale della repressione dei reati connotati dall’odio razziale o religioso verso le vittime, così come dalla discriminazione del loro orientamento sessuale (hate crime) e il Governo ha adottato diverse iniziative in tema di omofobia nell’ambito di programmi di prevenzione. Il Crime and Disorder Act 1998 ha introdotto figure di reato connotate dall’odio diretto verso determinate caratteristiche della vittima, sue opinioni o inclinazioni personali e il Criminal Justice Act 2003 ha introdotto (art. 146) alcune aggravanti per i reati suddetti, prevedendo un incremento di pena qualora l’atto criminoso sia ispirato dall’ostilità verso l’orientamento sessuale (anche solamente presunto) della persona offesa, al pari dell’odio razziale, etnico, religioso o riferito alla eventuale condizione di disabilità della vittima.

Più di recente, il Criminal Justice and Immigration Act 2008, con la modifica del Public Order Act 1986, ha ammesso l’aggravante dell’odio fondato sull’orientamento sessuale ed ha equiparato i relativi reati a quelli ispirati dall’odio religioso o razziale. La stessa legge, tuttavia, a tutela della libertà di espressione esclude dalla nozione di hatred on the ground of sexual orientation la formulazione di opinioni critiche riferite a determinate condotte o pratiche sessuali, oppure le esortazioni a modificare o a non porre in essere tali condotte o pratiche (Criminal Justice and Immigration Act 2008, art. 74 e Schedule 16).

Applicando i criteri derivati da questa legislazione, il Crown Prosecution Service (CPS) – organo giudiziario titolare dell’esercizio dell’azione penale – ha dato una definizione dell’omofobia in un documento di indirizzo del 2007, Policy for prosecuting cases of homophobic and transphobic crime, affermando che l’elemento omofobico ricorre ogni volta che esso sia percepito come tale, indifferentemente, dal reo o dalla vittima – in ragione del suo presunto orientamento sessuale – oppure da terzi.

La Spagna prevede nel suo ordinamento norme specifiche relative alla discriminazione per motivi basati sull’orientamento sessuale della vittima. Il Codice penale spagnolo contiene, infatti, disposizioni riguardanti la discriminazione in base all’orientamento sessuale e considera il movente omofobico come circostanza aggravante di alcune infrazioni penali.

In particolare il Codice penale individua alcune fattispecie di reato connesse alla discriminazione per motivi omofobici (Capitolo IV, artt. 510-521). Sono puniti con pene detentive: i reati di incitazione all’odio e alla violenza contro gruppi e associazioni e di diffusione consapevole di informazioni false e ingiuriose su gruppi e associazioni, commessi anche in ragione delle tendenze sessuali dei loro membri (art. 510).

La discriminazione commessa da un incaricato di pubblico servizio è punita con una pena detentiva e con una multa, oltre ad una inabilitazione speciale all’impiego o carica pubblica per un periodo variabile; le pene sono aumentate in caso di reato commesso da un funzionario pubblico (art. 511).

È punito con l’interdizione dall’esercizio della professione, occupazione, impresa o commercio, per un periodo variabile a seconda della gravità, il rifiuto da parte di privati nell’esercizio delle loro attività professionali o manageriali di fornire le loro prestazioni per motivi legati, tra l’altro, agli orientamenti sessuali a soggetti che ne abbiano diritto (art. 512).

Il codice penale spagnolo considera inoltre illegali le associazioni “che promuovano o ispirino discriminazione, odio o violenza contro persone, gruppi o associazioni sulla base … dell’orientamento sessuale” (art. 515, 5) e prevede specifiche pene sia per i fondatori, direttori e presidenti di tali associazioni, sia per i membri attivi (art. 517).

Il Codice penale considera poi il movente omofobico come circostanza aggravante di alcune infrazioni penali. L’art. 22, punto 4, prevede, tra le circostanze aggravanti, il fatto che il delitto sia commesso per motivi razzisti, antisemiti o altro tipo di discriminazione riferita all’ideologia, religione o credenza della vittima, l’etnia, razza o nazione a cui appartenga, orientamento o identità sessuale, la malattia o la disabilità. Il Codice penale detta, inoltre, disposizioni sulla discriminazione dei lavoratori in base, tra l’altro, al loro “orientamento sessuale” (art. 314).

Infine la Legge 49/2007, in materia di pari opportunità, non discriminazione ed accessibilità universale per le persone disabili, considera tra le “infrazioni molto gravi” i comportamenti gravi (conductas calificadas como graves) generati da odio o disprezzo legati all’orientamento sessuale (art. 16, comma 4, lettera e).

L’Italia ricopre insomma senza alcun dubbio l’incomodo ruolo di fanalino di coda sul tema dei diritti delle persone LGBT in Europa e nel mondo occidentale. Sempre più paesi occidentali, non solo quelli pienamente industrializzati ma anche quelli dell’America Latina riconoscono piena uguaglianza ai cittadini LGBT e alle loro famiglie.

La piramide dei bisogni di Maslow come molti di voi sapranno prevede che l’essere umano, una volta soddisfatti bisogni più elementari, si rivolga al soddisfacimento di bisogni più sofisticati: dai bisogni fisiologici si passa ai bisogni di sicurezza, poi a quelli di affetto, a quelli di stima e di successo e, infine, a quelli di realizzazione personale. Le persone omosessuali, bisessuali e trans in Italia sono ancora alle prese con il bisogno molto basilare della sicurezza. Non parliamo di una piccola minoranza: l’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che il 5% della popolazione mondiale sia gay, lesbica, bisessuale o trans, senza significative differenze di latitudine o di status sociale.

E come accade sempre in tema di diritti, lo abbiamo visto con i provvedimenti assunti in questa legislatura in tema di violenza contro le donne, è possibile con questa legge dare un segnale di inclusione e di rispetto non solo alle persone interessate ma a tutto il paese. E’ uno di quei casi in cui la norma penale ha un effetto simbolico che contribuisce a costruire la modernità di un paese e la cultura di una comunità. E’ nella consapevolezza di questa occasione e di questa responsabilità, che auguro a tutti noi buon lavoro.

2 risposte a “La mia relazione sulla proposta di legge contro l’omofobia e la transfobia”

  1. Francesca Tibo ha detto:

    Grazie

  2. […] parlamentare sta cadendo verso una legge un po’ annacquata, difficilmente sarà approvata la proposta di Scalfarotto, la parte conservatrice del Parlamento sostiene che avendo una legge del genere, si potrebbe ledere […]