28 Ottobre 2007

Unica ambizione: stare in piedi – Filippo Zuliani

Cervelli in fuga

Ieri sera ero fuori a cena con un’amica e collega italiana, diventata da poco professoressa in relativa giovane età nell’Università italiana. Ripensando alle difficoltà che si incontrano ad accedere al ruolo di docente e/o ricercatore nell’Università nostrana, quasi stupita, ella stessa mi ha confessato: ”non capisco sinceramente cosa ci faccio nell’Università italiana. Io non ho mai avuto alcuna ambizione del genere”.


Apriti cielo. In tale affermazione trovate il nucleo del problema dei cervelli in fuga: chi non ha ambizioni è visto favorevolmente da senati accademici e consigli di dipartimento nostrani, che ne caldeggiano assunzione e carriera. Persone prive di ambizioni, infatti, ben difficilmente stressano, questionano, fanno notare che e – soprattutto – ambiscono alla posizione di presidente di Consiglio di Corso di Laurea o capo di Dipartimento. L’ambizione di far meglio -e lavorare affinché ci siano le condizioni per farlo- è vista con estremo sfavore negli aspiranti ricercatori in Italia, e le baronie con il loro seguito di vassalli in religioso silenzio, ben si adoperano a stroncare tali pericolose velleità.
Volendo usare un paragone calcistico, è come se una squadra di serie D potesse tesserare Ronaldinho. Una ghiotta opportunità a prima vista, ma prendere Ronaldinho in squadra scombussolerà la tranquilla vita dei giocatori ormai abituati ad allenarsi solo una volta a settimana; toglierà la leadership storica al vecchio capitano quarantenne; farà risaltare l’inadeguatezza dell’allenatore che gioca a uomo con il libero e non ha mai visto una partita del Milan di Sacchi. Perché crearsi tutti questi problemi? Suvvia, l’ambizione in Italia crea solo grane, obbliga a produrre e confrontarsi con il libero mercato che nessuno vuole. Meglio uno stipendio garantito e uguale per tutti. Come risultato, l’Università italiana è popolata di infiniti personaggi che non lottano per le loro idee – troppo faticoso – ma vivacchiano aspettando il proprio turno. Cari studenti, entrare nell’Università italiana in fondo è facile, basta avere un’unica ambizione: stare in piedi. Null’altro.

17 risposte a “Unica ambizione: stare in piedi – Filippo Zuliani”

  1. riccardo da parigi ha detto:

    Mi piace il paragone con Ronaldinho in una squadra di serie D (anche se ronaldinho crea rogne in ogni squadra, potevi prenderne uno meno matto e più utile alle squadre, chessò Totti, Pirlo … e poi la serie D non esiste più mi pare). Anche se poi sempre sti peana sul “libero mercato” … riparlamente tra qualche anno …. io quando ne sento parlare come soluzione dei problemi oramai mi tocco …

  2. Filippo ha detto:

    mio caro, dovresti farti un giro in Olanda. Qui, “libero mercato” (accademico) vuol dire che diventa professore o full professor chi pubblica di piu’ e con piu’ rilevanza internazionale. Un sistema severo, stressante se vuoi. Ma le baronie, qui te le scordi. Basterebbe questo, e il sistema infatti qui funziona (al contrario Francia, Italia e Spagna sono i tre paesi big-europei con la piu’ bassa qualita’ accademica nazionale d’europa).

  3. riccardo da parigi ha detto:

    Beh, intanto in Francia gli italiani trovano posti, e fissi, guarda qui , in barba ai locali e forniti solo dei loro mezzi e delle loro pubblicazioni. E si fanno belle cose in relativa libertà. E anche negli USA una volta avuta la tenure il posto è praticamente fisso.
    Come dire qui si prova, per seguire il tuo paragone, di formare una squadra non intorno ad un solista (come nei paesi dove la ricerca è strutturata intorno a grandi prof e gli altri tutti gregari) ma di formare una squadra, cercando di prendere i migliori disponibili. Non sarà come l’Inter, perché i salari non consentono di prendere Ibra, Samuel, Chivu etc, ma una bella Roma o Fiorentina sicuramente si.

  4. Filippo ha detto:

    Pensala come ti pare, riccardo. Non sta a me criticare la bonta’ dei sistemi francese o inglese o olandese o tedesco. Io cito solo dati. E i dati dicono che i tre paesi big-europei con la piu’ bassa qualita’ della ricerca sono italia, spagna e francia. Queste sono statistiche che prescindono dai singoli casi. Poi ognuno di regola come vuole.

  5. riccardo da parigi ha detto:

    Non so quali statistiche citi, ti faccio notare che quest’anno, il 25% dei premi nobel nelle “scienze dure” (ovvero fisica e chimica) era francese, e che l’anno scorso una medaglia field in matematica (l’equivalente del nobel) è andato ad un francese.
    E la spagna sta crescendo moltissimo. Tutto il resto è un po’ fuffa, girata a seconda di come faccia più comodo. Anche la storia degli articoli pubblicati, ti assicuro che un inglese o americano pubblica la stessa cosa 5 volte su 5 articoli diversi, mentre un francese ha più la tendenza a limitarsi. Non critico nessuno dei due, è una questione “culturale”, ma se ci si limita agli indici degli articoli ….

  6. Filippo ha detto:

    Leggi questo, da parte di Andrea Ichino. E’ estremamente interessante.
    http://www2.dse.unibo.it/ichino/gipp_declino_18.pdf

  7. riccardo da parigi ha detto:

    Ma è un tomone! Comunque per la Francia, bisogna capire che chi lavora alle università non fa ricerca al 100% ma al 50% del proprio tempo, anche e soprattutto i più giovani. Quindi bisogna prendere il tutto con le molle. Si può riassumere dicendo che il sistema della ricerca è abbastanza scollegato dalle università, soprattutto come lavoratori.
    E’ un po’ come paragonare i caci con le pere. E ogni sistema è a se stante.
    Vale sempre il mio criticismo sulla diversa politica delle pubblicazioni tra USA e resto del mondo. Tra l’altro scrivere nella propria lingua madre o nella lingua che si parla correntemente è un bel vantaggio. Io se potessi scrivere in italiano ci metterei la metà a scrivere ogni articolo (e senza avere chi lavora per me ne faccio circa 5 l’anno ultimamente, e non tengo conto delle comunicazioni ai congressi …).

  8. Filippo ha detto:

    Riccardo, ripeto che io non ho nessuna intenzione di giudicare o dileggiare alcuno. Io riporto statistiche argomentate e basta. Poi ognuno ci pensa sopra e ci crede o meno.
    Fammi pero’ notare che le tue argomentazioni sono molto simili (quando non proprio le stesse) a quelle degli accademici italiani: c’e’ comunque chi e’ in grado di fare eccellentemente il proprio lavoro, le pubblicazioni non sono tutto, non si possono paragonare sistemi diversi, le classifiche si taroccano con furbate, etc etc.
    Alla fine ne esce fuori la solita immagine degli accademici che vivono o vorrebbero vivere in una torre d’avorio senza dover sottostare a nessuna regola o verifica che non siano quelle interne del mondo accademico. Niente classifiche, niente paragoni, niente giudizi. Ci si rimette alla buona volonta’ e a tutta una serie di casi particolari.
    Se vogliamo adottare tale modello con la motivazione che la scienza non puo’ essere inscatolata, a me va bene. Pero’ poi, non venite a lamentarvi che su 4 accademici ce n’e’ uno che fa onestamente il suo lavoro mentre gli altri vivacchiano o vanno a pescare tanto li pagano lo stesso. Nell’assenza di regole, come accade nel mondo accademico latino, trova largo posto l’anarchia, e nell’anarchia non sono molti i cuori generosi che sopravvivono del loro semplice lavoro. Gli altri trovano posto all’ombra protettiva delle baronie, che trovano quindi motivazione di esistere – per alcuni anche giustificazione.

  9. riccardo da parigi ha detto:

    Vedi Filippo, tu insisti con la tua linea, ok. A me ricorda la faccenda dei QI, che alla fine misura quanto uno è vicino ad un certo standard. In questo caso mi pare che si assuma come ottimo il sistema anglo-americano e si misuri la distanza da quello. Il che ha un bias logico nelle premesse.
    Cosa diversa è combattere contro i nullafacenti. Ci sono molte strade, qui una che funziona relativamente bene per il CNRS è quella delle valutazioni biennali e delle promozioni, ovvero dell’assenza di scatti di anzianità infiniti. In altre parole se vuoi guadagnare di più devi lavorare per essere promosso, altrimenti ad un certo punto ti fermi.
    Ti ripeto, e ancora non mi ascolti da sto lato, che qui quelli che tu chiami “accademici”, ovvero i professori, non sono il motore della ricerca, perché il loro lavoro è solo al 50% di ricerca, quindi bisognerebbe normalizzare intanto le statistiche, per cominciare.
    E poi, ci deve pur essere un’alternativa al “libero mercato salvifico”, o almeno io penso che bisogna crederci, altrimenti muoriamo berlusconiani dicendo di essere di sinistra …. se volete, accomodatevi ….

  10. Filippo ha detto:

    Riccardo, non fraintendermi. Per quel che mi riguarda io approvo il libero mercato come soluzione del problema delle baronie italiane. Non lo considero pero’ l’unica soluzione. Se vi sono altre proposte, sono ben disposto ad ascoltare.
    Per quel che riguarda la francia, la mia impressione e’ in terra d’oltralpe si vada sempre piu’ verso il binomio CNRS = buono (lo salviamo), universita’ = cattivo (lo abbandoniamo a se stesso).
    Per quel che riguarda l’Olanda, qui non esistono ricercatori e professori. Qui tutti i professori fanno ricerca e insegnano. punto. E nel libero mercato olandese sopravvivono solo quelli veramente adatti a fare ricerca, perche’ il sistema e’ stato concepito all’uopo (pensi di poter essere ricercatore? bene, allora dimostramelo). I risultati nazionali sono tra i migliori d’europa (e ricordati che essere un paese piccolo e’ un vantaggio per l’organizzazione ma uno svantaggio per le risorse disponibili), normalizzati o meno.
    Per concludere, trovo quantomeno esasperante dover etichettare sempre tutto come di destra o di sinistra (ad es. il “libero mercato”). In Italia c’e’ un problema, io sto parlando di una possibile soluzione. Gli olandesi ne hanno proposta e attuata una che funziona, i tedeschi anche. Di destra o di sinistra sono solo etichette buone per buttar tutto in gazzarra. Se hai un’alternativa al “libero mercato salvifico” benvenga. Ti assicuro che io non mi offendo.

  11. riccardo da parigi ha detto:

    Io un modo di procedere l’ho identificato, un primo passo che sarebbe importante: “assenza di scatti di anzianità infiniti. In altre parole se vuoi guadagnare di più devi lavorare per essere promosso, altrimenti ad un certo punto ti fermi.”
    Poi come sempre bisogna vedere chi valuta, ma questo vale per tutti i sistemi. Probabilmente non sei da molto in Olanda per conoscere le magagne che ci sono sicuramente anche lì, come in Francia, Inghilterra, Germania, Usa, ovunque. Fa parte della natura umana, il problema è quanto pesano queste “magagne” sul totale. In Italia diciamo il 90%. In Francia molto meno, per esperienza diretta. E sono anche un diverso tipo di magagne.
    E il fatto di distinzione ricercatori/professori (anzi insegnanti-ricercatori perché si parte da subito con la distinzione) era solo per dirti con un esempio concreto che applicare i criteri creati per i sistemi anglosassoni ad altri sistemi distorcono la realtà. Ti avevo fatto l’esempio del QI, che è ben noto valutare quanto la tua intelligenza è prossima a quella di chi l’ha pensato il test.

  12. Filippo ha detto:

    “assenza di scatti di anzianita’ infiniti” e sopratutto automatici. In italia gli accademici portano a casa un bel malloppo (a parte i primi 3 anni di assunzione come ricercatori). Altro che stipendi di fame. Tutto automatico e senza rischiare nulla, anzi senza dover neppure lavorare.
    Allora blocchiamo questi scatti e cominciamo a discutere sulla base di cosa le commissioni dovrebbero valutare chi viene promosso o no. Classifiche? no, non rispecchiano il reale valore del sistema. Articoli? no, troppo facile pubblicare 5 volte la stessa cosa. Impact factor? nessuno, bla bla bla. Orbene, si proponga qualcosa.
    In piu’, sono sempre stato contro la tendenza all’anarchia completa degli accademici. Troppo spesso questo si tramuta in spocchia da giudizio facile senza pero’ non voler venire giudicati da nessuno. In Italia sopratutto non fa bene al sistema, perche’ crea l’ennesima lobby di ipergarantiti dall’assenza di controlli. O l’ennesima casta, se vuoi, visti gli stipendi in ballo. E se concedi la caramelle a qualcuno, poi le devi concedere anche agli altri.

  13. alessandro ha detto:

    Io una modesta proposta ce l’avrei. Creare un organismo di controllo centrale con una serie di sotto-commissioni per aree formate da specialisti nazionali e internazionali, i quali ogni tre anni valutano il lavoro di ricerca dei vari professori, ricercatori ecc. sulla base di vari parametri, a seconda dell’area, visto che non vale per le scienze umane quello che vale per le hard sciences. Il problema è la valutazione di lavori in italiano (come lo sono la maggior parte delle pubblicazioni nell’area di umanistica) da parte di prof. stranieri, ma si può ricorrere a italiani che insegnano all’estero in pianta stabile (e quindi senza la tentazione di crearsi “amici” in Italia per un eventuale rientro). Il risultato delle commissioni viene poi pubblicato in internet in modo che ciascun ricercatore e professore lo possa vedere e valutare se la commissione della sua area è stata imparziale. Per garantire tale imparzialità, occorre che ogni tre anni sia nominata una nuova commissione e che nessuno possa farne parte più di una volta. E che la nomina avvenga per elezione tra i ricercatori di quella area, con tanto di liste di candidati. Sembra macchinoso, ma nell’era di internet non è difficile. Come non è difficile mettere on-line i CV di tutti gli accademici italiani. Ci sono riusciti in Brasile, con il Sistema Lattes, non vedo perché non ci si dovrebbe riuscire in Italia. Così, se uno si candida per la commissione, si va a vedere il suo CV elettronico e se lo si ritiene abbastanza bravo, gli si dà il voto. Quanto agli internazionali, bisognerebbe pensare forse un metodo alternativo, o limitarne il peso a un terzo dei membri: abbastanza per correggere eventuali parzialità degli italiani, ma non abbastanza per produrre loro stessi risultati sfacciatamente parziali. Certo, la garanzia cento per cento non c’è mai.
    E i parametri? Beh, questo è un altro discorso. Io avrei delle idee per la mia area (filosofia), ma – come detto – ogni area dovrebbe stabilire i suoi. Anche per valutare le pubblicazioni. In Brasile (dove vivo) le riviste sono classificate per importanza (internazionali A, B e C; nazionali A, B e C; locali A, B e C) e quindi i ricercatori sono spinti a cercare di pubblicare in riviste internazionali o nazionali A. E vi assicuro che le classifiche sono oggettive, non arbitrarie, e sono regolarmente aggiornate da altre commissioni di area. È molto lavoro burocratico, ma ne vale la pena: il sistema è abbastanza trasparente e le baronie (che esistono anche qui) si stanno riducendo a vista d’occhio.

  14. riccardo da parigi ha detto:

    Alessandro,
    il sistema di valutazioni (biennale) è come avviene al CNRS e le commissioni sono formate in parte con elezioni tra i ricercatori stessi. Solo per assicurare che non è assolutamente macchinoso …. però è fattibile perché c’è una centralizzazione al livello nazionale delle unità di ricerca (puramente CNRS o miste CNRS-Università-altri enti) che aggrega non solo i dipendenti CNRS ma anche quelli delle università che sono quindi confrontati sul piano nazionale e devono mettere il naso fuori dalla propria università.

  15. alessandro ha detto:

    Bene, Riccardo. Allora funziona in Francia e funziona in Brasile (dove però le valutazioni riguardano i programmi di master e dottorato – e vengono effettuate sulla base della produzione scientifica dei professori – e solo in occasione di borse – comunque numerose e diversificate – e finanziamenti i singoli ricercatori). Dovrebbe poter funzionare in Italia, almeno in teoria. Ma non ce li vedo molto i baroni italiani a farsi giudicare da dei loro pari, per cui sicuramente non se ne farà di nulla…

  16. Filippo ha detto:

    non se ne fara’ nulla perche’ ora chi dovrebbe farlo – Mussi – non ha nessuna intenzione di inimicarsi il mondo baronale. Mussi sta costruendo la sinistra unita e non puo’ certo permettersi il cataclisma che deriverebbe dal cambiare qualcosa nel sedimentato reame delle baronie italiane.

  17. forerunner ha detto:

    C’è anche il talk del paper di Ichino su youtube in tre parti:
    “Lo splendido isolamento dell’università italiana.”
    1) http://www.youtube.com/watch?v=rrM2RCms4PQ
    2) http://www.youtube.com/watch?v=1haiPU6LRDs
    3) http://www.youtube.com/watch?v=QHBHddUX-Tk
    veloce e piacevole da guardare… invece di leggersi il “tomone”