1 Giugno 2007

Laurearsi per lavoro o laurearsi per cultura? – Filippo Zuliani

Cervelli in fuga

Su Repubblica trovate l’ultima indagine di F. Pace sullo stipendio dei laureati italiani. Nulla di nuovo, purtroppo. I soliti salari vergognosi a cui siamo abituati. Mi ha però colpito il commento di una lettrice del blog allegato sulle lamentele del popolo dei laureati: “ma sono l’unica a laurearsi anche e soprattutto per cultura?”


Posto che non ha senso chiedersi se sia meglio laurearsi in ingegneria piuttosto che in lettere, lo ha invece chiedersi se sia sensato laurearsi per cultura (personale) ma con scarso interesse per le dinamiche del mercato del lavoro. Di qualunque lavoro.
Recentemente, un’amica mi ha detto che, da poco laureata, avrebbe fatto domanda per entrare nella pubblica amministrazione del suo paesello. La laurea garantirebbe l’accesso a un livello più alto, a prescindere dal settore di studi. A quel punto mi sono chiesto che meritocrazia ci sia nell’investire (e pagare) in istruzione universitaria il cui unico scopo è l’assunzione ad un livello più elevato senza guardare le competenze acquisite nel percorso di studi.
Ha penso per l’economia del paese? Ha senso laurearsi per cultura, senza pensare al futuro lavoro, come leggere un buon libro che poi si ripone sullo scaffale? Non sarebbe stato meglio fermarsi prima?

10 risposte a “Laurearsi per lavoro o laurearsi per cultura? – Filippo Zuliani”

  1. Upanisad ha detto:

    Concordo! Sarà che sono ingegnere, però la laurea “per (pura) cultura” a me sembra un’assurdità. Da quando c’è bisogno di laurearsi per essere colti? La stragrande maggioranza degli autori che si studiano in una laurea in lettere, la laurea non l’hanno mai avuta (idem per tutti i campi artistici… a parte architettura)! E’ paradossale che per dichiararsi colto serva una certificazione, un pezzo di carta che chi la cultura l’ha prodotta non ha mai avuto! Ci sono poi persone di grandissima cultura, ma con la terza media, perchè, al di fuori di un percorso scolastico, hanno acquisito cultura in modo autonomo leggendo tutta la vita.
    Ben diversa è una laurea fatta per ottenere competenze. Non esiste lo scienziato, l’ingegnere, l’economista o l’architetto con la terza media fai-da-te. Sono professioni che non richiedono semplicemente cultura (aver letto i libri), ma competenze (aver fatto pratica, a partire dagli esercizi all’Università per arrivare all’esperienza sul campo) che è improbabile riuscire ad ottenere a tempo perso mentre nella vita si fa altro.
    Un paese che investe in “cultura” senza produrre competenze è destinato all’impoverimento materiale. Sono soldi buttati via dalla collettività senza ottenere nulla in cambio, se non la gratificazione personale del singolo. Ha senso che lo Stato, cioè l’insieme dei suoi cittadini, spenda soldi solo per far contento un singolo che può menarsela dicendo “io sono colto, son laureato”? Secondo me no. Avrebbe senso solo se il costo della laurea fosse “individuale”, come negli USA. A quel punto se vuoi investire decine di migliaia di euro in cultura personale, fai pure, sono affari tuoi.
    Forse sarebbe giusto introdurre una disparità economica fra i vari percorsi universitari, in funzione degli sbocchi professsionali possibili. Sarebbe un ottimo incentivo per incrementare le lauree tecniche e scientifiche per le quali il nostro paese è in forte deficit, a scapito di lauree vacue che pochissimi riescono a mettere a frutto. Tutti gli altri finiscono per arrangiarsi a fare lavori “come capitano”, giusto perchè si ha un pezzo di carta indiependentemente dal percorso di studi che c’è scritto sopra.

  2. alessandro ha detto:

    Caro Upanisad, guarda che “cultura” non significa solo “leggere libri”. Quello che la lettrice voleva dire, forse (ma qui interpreto io), è che non si è laureata pensando di lavorare poi nel campo in cui aveva studiato – come se tu, ad es., decidessi di prendere una laurea in storia dell’arte. E non credere che prendere una laurea umanistica significhi soltanto leggere libri. Esiste anche la ricerca in ambiti umanistici e anche lei ha le sue metodologie, diverse ovviamente da quelle della ricerca in altri ambiti come le scienze esatte, ecc. Quindi anche un laureato in letteratura sanscrita acquisisce una competenza, non si limita a leggere il Panchatantra.
    Quanto al resto del tuo discorso, a parte tradire l’abituale supponenza (scusami, eh) dei tecnici che pensano che se tutto fosse in mano a loro o se tutti fossero come loro, tutto andrebbe meglio, mi sembra che i problemi dell’Italia non siano tanto la mancanza di ingegneri o scienziati, ma la mancanza di una cultura (oddio, di nuovo!) del Pubblico e una educazione civica che di certo non sono i corsi di laurea tecnici o scientifici ad offrire, specialmente se sono orientati solo a produrre competenza e non anche capacità critica e responsabilità etica (un ingegnere ce l’ha, su questo concordi? O siete solo macchinette che fanno calcoli e tirano su viadotti?). Abbiamo (noi cittadini) bisogno anche di intellettuali che possano stimolare la discussione, offrire visioni politiche, essere voci critiche. O pensi che le grandi questioni che l’Italia e il mondo si trovano ad affrontare siano solo questioni tecniche da risolvere con qualche calcolo?

  3. Anonimo ha detto:

    Alessandro, nessun tecnico vuol guardare dall’altoin basso nessun umanista. Non mandiamo la discussione su questa strada. Ripeto le parole del mio postnon ha senso chiedersi se sia meglio laurearsi in ingegneria piuttosto che in lettere.
    Pero’ converrai che anche gli umanisti devono mangiare. E per mangiare devi trovarti un lavoro. Prima di iniziare una laurea, che rappreenta un investimento sia in termini di cultura che in termini di mercato del lavoro, bisogna interrogarsi sulle proprie passioni personali ma senza dimenticare la ricettivita’ del mercato del lavoro. Mischiare passione e lavoro, lo so, e’ bieco e toglie idealita’ alle passioni stesse, ma va fatto. Se io ho la passione delle lettere antiche ma so che dopo non trovero’ sbocchi professionali per fare delle mia passione e il mio lavoro, ne devo concludere che una laurea in lettere antiche non e’ un buon investimento. O per lo meno non e’ giusto che la mia passione personale la faccia pagare al sistema universita’ (che si regge sulle tasse di tutti i cittadini).
    Giusto una domanda (retorica): il modo piu’ sicuro per far fruttare la laurea oggi e’ entrare nella PA, dove certe posizioni te le danno solo in funzione del titolo di studio. La solita economia che dovrebbe girare a colpi di decreto e non a colpi di mercato. Se questo e’ il metodo accettato da tutti, laureati inclusi (vedi il riferimento alla mia amica del post), non stupitevi se poi la laurea per cui avete tanto lottato e’ considerata carta straccia nel privato.

  4. Filippo ha detto:

    Pardon, il commento prima e’ mio. Ho dimenticato di mettere il nome
    Filippo

  5. Upanisad ha detto:

    Ad Alessandro:
    Ad essere sincero, personalmente sì, penso che siano per la maggior parte questioni tecniche inquinate dal flosofeggiare che non ne stimola, ma al contrario ne impedisce la soluzione, in particolare in Italia, dove ci si perde solo in chiacchiere senza nulla produrre poi sul concreto. Se ci fosse meno gente che chiacchiera e più gente che fa (come avviene in altri paesi più avanzati), l’Italia andrebbe molto meglio. Da noi il filosofeggiare non va incentivato, ma scoraggiato!!! Un paese con 1000 pensatori e 100 costruttori non va avanti di un centimetro.
    Fra l’altro contesto anche il concetto di fondo: può benissimo esistere un medico filosofo, mentre non esiste un filosofo medico. In altre parole, la cultura è fluida ed alla portata di chiunque “a tempo perso”, non ha bisogno di specifici corsi di studi.
    Se il corso di studi umanistici ti serve per lavoro, perchè prevedi di mettere a frutto le competenze che ti ha fornito va bene. Se ti laurei solo per “cultura personale”, no, non a spese dello Stato. Anche perchè il tutto si traduce in un ulteriore danno al sistema. Un alureato in lettere, che non avendo sbocchi professionali appropriati, finisce a fare, che so, il selezionatore del personale è un danno al paese. Perchè non ha nessuna competenza specifica per fare quel mestiere, ma finisce per farlo perchè, data l’ampia disponibilità di gente a spasso, si preferisce assumere nel ruolo un “umanista” (qualsiasi cosa voglia dire), per pagarlo meno. Non avendo nessuna competenza, si arrangerà alla carlona, rischiando di selezionare il personale in modo arbitrario, infilando le persone sbagliate nei posti sbagliati. Temo che l’Italia sia regina in questo.
    Poi sul fatto che l’educazione civica si accresca prendendosi una laurea, sinceramente, mi vien da ridere… l’unico leader di partito laureato in Italia è Berlusconi. Non aggiungo altro.
    Infine, la cronica carenza di tecnici è causa primaria dell’arretratezza economica del nostro paese, governato da una logica economica ed industriale da “terza media”, che ripiega in modo preponderante su produzioni a bassa intensistà tecnologica, più adatta ai paesi in via di sviluppo che ad un’economia avanzata. E questo si paga in termini di sviluppo, con la crescita del PIL sempre costantemente e nettametne inferiore alla media europea. A furia di andare a passo lento, si finisce per essere superati e doppiati da tutti gli altri che erano dietro di noi, vedi Spagna.

  6. Filippo ha detto:

    upanisad, il problema non e’ cosa studi. Ingegneria e lettere hanno la stessa valenza e la stessa dignita’. Un construttore e un pensatore hanno la stessa dignita’. Il punto e’ che bisogna pensare agli studi anche e in funzione del mercato del lavoro. Chi dice: “A me piacciono le lettere moderne, io rispondo “bravo, ma hai pensato a quale sara’ la ricettivita’ del mercato del lavoro alla tua passione (che vorrebbe diventar lavoro dopo l’universita’) ?”. Purtroppo la risposta che sento e’ spesso: Intanto studio poi si vedra’. Qualcosa trovero’. Cosi’ non va bene, umanisti o ingegneri che sia bisogna pensare alla laurea in relazione al mercato del lavoro. E vale per tutti, dall’insegnamento, alla ricerca, alla costruzione di ponti e allo scrittore.

  7. Lorenzo ha detto:

    Caro Ivan,
    Il mio modesto parere è che se in Italia esiste un sovrappiù di laureati in materie umanistiche, è perché lo standard richiesto agli esami è troppo basso. Buon senso anglosassone vorrebbe che la laurea diventasse più difficile da ottenere, perché è inutile arrivare al “todos caballeros”; se una laurea in lettere o in lingue è così facile da ottenere, vuol dire che gli studenti che facciamo laureare non saranno poi abbastanza competenti. Il risultato è che queste lauree acquisteranno fama (meritata) di scarsa serietà.
    Non è un caso che oggi molte ditte assumano laureati in fisica o altre discipline “difficili” per posizioni che non hanno nulla a che fare con la fisica. Una laurea di quel tipo, infatti, è una garanzia di serietà, mentre una laurea in lettere in Italia è diventata sinonimo del “meglio che niente”, screditando chi ha fatto Lettere con vera passione e chi ha veramente realizzato un percorso di formazione.
    Inoltre, in Italia è possibile laurearsi (a prescindere dalla materia, ma per quelle umanistiche il problema è più grave) senza aver passato un esame di inglese serio (tipo Proficiency) e senza alcuna competenza informatica.
    Non credo che si debbano togliere greco, latino e filologie dalle facoltà umanistiche per metterci materie più “concrete” come stenografia o storia della moda: bisogna però che chi studia queste discipline e si laurea alla fine sia visto come un vero cervellone, uno che può fare “praticamente tutto”.
    A quel punto, magari qualche ditta potrebbe voler assumere una persona in grado, se non altro, di scrivere in eccellente italiano, leggere e conversare in due o tre lingue straniere, organizzare un resoconto di una qualunque attività in maniera chiara e precisa. Abilità che oggi gli studenti italiani in materie umanistiche non sempre hanno – quante tesi di laurea in italiano sono addirittura piene di errori di ortografia!

  8. Tonyn1 ha detto:

    La laurea non è più quel plus che ti permetteva di avere un lavoro ed uno stipendio migliore, perchè ormai la prendono tutti o quasi tutti, mentre anni fa erano poche le persone che andavano all’università e credo forse anche perchè il livello di alfabetizzazione era più basso. Oggi un laureato prende lo stesso stipendio di un diplomato se non addirittura più basso, questo significa che qualcosa è cambiato, l’euro, le nuove tecnologie, internet,la globalizzazione, i grandi progressi della comunicazione hanno rivoluzionato il mondo. In italia deve prima cambiare la mentalità abbandonando l’idea della laurea come una sicurezza economica e poi ridisegnando completamente tutta l’università perchè cos’ come è oggi non funziona.

  9. Chiara ha detto:

    Il post è molto interessante! Io sono una laureata che per rimanere al passi con gli esami e laurearsi entro i 5 anni si è rivolta ad Universitalia. Grazie ad un tutors che mi ha seguito passo dopo passo sono riuscita a prendere la laurea! Spero solo ne sia valsa la pena e che riesca a trovare un buon lavoro.
    Ciao

  10. Socialist ha detto:

    Questo post è vecchio, ma non posso trattenermi dall’esprimere un opinione alternativa.

    Che tristezza constatare che la cultura per piacere viene considerata un vero e proprio capriccio per facoltosi. Dov’è finito l’universalismo della mia sinistra? mah…

    Vedo solo retorica contro la tassazione degna della peggiore destra.

    Se io voglio elevarmi, culturalmente, perché ne sento il bisogno, ma di un bisogno che chi ha la visione della laurea solo utilitarista non può concepire è mio sacrosanto diritto farlo.

    Ed è mio diritto anche se non ho i mezzi economici per farlo, e quindi a spese della collettività.

    Mi sembrano opinioni di gente frustrata da anni di studi che non gli interessavano, ma che hanno fatto solo per questioni monetaristiche, di prospettive di carriera, legittimo ma non si si scagli con chi ha altri orizzonti che non il mero prestigio economico.

    Lasciatemi dire due parole da un punto di vista diverso:

    Io proletario (si può dire?) figli di madre sola proletaria, senza mezzi, senza patrimoni, senza casa di proprietà.

    Io cresciuto in periferia, in una casa popolare dove la vita in condivisione non è affatto facile, dove non hai una vera stanza da letto ma dormi in una stanza di passaggio, dove la metratura è di 45 metri quadrati.

    Un quartiere dove le tue amicizie sono quelle di ragazzi nella tua stessa condizione, con l’unica fortuita differenza che la tua mente è più aperta perchè hai famiglia all’estero dove evadi d’estate e questo ti cambia profondamente.

    Dove le amicizie di tutti i giorni rimpiazzano il padre e i fratelli/sorelle che non hai, amicizie da gang, che ti portano su strade tutte tranne che di studio.

    Poi cresci, ognuno matura il proprio percorso in base al vissuto e al proprio carattere di fondo.

    Tu prendi la tua strada, fatta di inettitudine vera o presunta, rifiuto dell’autorità altrui e di lavori saltuari da cui rifuggi per la loro monotonia e il tuo disinteresse nonchè il renderti conti di quanto mediocre intellettualmente sia chi ti da gli ordini.

    Ma con la tua licenza media non vai da nessuna parte, ma in tutti questi anni non hai cessato di formarti a modo tuo, parli 3 lingue che hai imparato NON a scuole ma per passione o per necessità, te la cavi bene al computer sia a livello software che hardware perchè la passione e il non fermarti al giochino idiota di poker o le cavolate su facebook.

    In questi anni hai lottato per dimostrare agli altri cosa valevi nonostante la tua licenza media, ma nessuno pare accorgersene o riconoscertelo.

    Hai letto, ti sei informato, hai usato la rete come strumento di conoscenza piuttosto che come strumento di cazzeggio, hai letto libri e ti sei tenuto al corrente sull’attualità tutta, da quella politica a quella economica, ecc.

    Poi a 27 anni suonati riprendi un percorso di studio, con profitto.

    Ma un giorno passando per caso su un blog leggi abominevoli critiche su chi come te vuole accrescere la propria cultura per accrescere se stesso pur non avendo mezzi economici per farlo.

    Quando hai 28 anni stai per iniziare il secondo anno di formazione per adulti al serale, vivi da solo e paghi l’affitto e ti restano 600 euro per vivere e non ti lamenti, è decidi che il percorso che hai ripreso è talmente bello e gratificante che vorresti continuare anche dopo, accrescere te stesso, per avere una mente critica, per non vivere nell’ignoranza e nella mediocrità, per essere riconosciuto dagli altri e apprezzato.

    E tutto sommato sei felice anche se sei un morto di fame perchè hai degli obiettivi, che non sono si anche economici ma soprattutto di accrescimento personale, vuoi che ciò che la vita ti ha insegnato ti venga in qualche modo riconosciuto ma nessuno te lo riconosce se non hai un pezzo di carta a certificarlo.

    Poi leggi la supponenza di chi ti dice che se non ti serve per la carriera la laurea non la devi prendere e ti viene il voltastomaco per tutti i sacrifici che fai e per tutte le amarezze che ingoi.

    Non vale la pena di stare in questo paese, no worries, non continuerò la mia formazione in questo paese che odia chi vuole migliorare se stesso, preso il diploma me ne vado all’estero, e continuerò a formarmi oltre a lavorare, perchè è mio diritto ambire ad essere non necessariamente più ricco grazie a una qualche laurea, ma almeno più pieno, pieno di esperienze di vita e lavoro, di conoscenze, magari più saggio.

    Chi vuole nascere e morire nella sua piccola cittadina di provincia auto-condannandosi al ghetto della mediocrità, senza mai scalfire le proprie convinzioni e i propri pregiudizi, senza mai fare autocritica su se e la propria esistenza (mentre c’è chi vuole o deve continuamente mettersi in discussione), aspettando che la moglie gli tolga le ciabatte al rientro dal lavoro che odia, schiavo della propria vita, di qualche imprenditore borghese e tiranno, prigioniero della propria ottusità e dei luoghi comuni e stereotipi che non ha saputo o voluto mettere in discussione, criticando sempre e solo quelli altrui senza accorgersi dei propri.