8 Settembre 2009

Micropride

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A un certo punto, venerdì sera, la piazza del Campidoglio era piena di gente, silenziosa e composta ma pure capace di battute fulminanti seguite da risate collettive, l’ironia più forte della rabbia, come spesso accade nella comunità gay. Nessuno che lo dicesse ma, ne sono sicuro, avevamo tutti in mente le scene di Milk, le immagini e alla potenza di quel film, e anche la bellezza e l’eccitazione di essere stati capaci di essere lì senza nemmeno avere bisogno di un eroe come Harvey Milk. Della serata romana di venerdì ricorderò senz’altro la luce delle candele, i cartelli con scritto “We have a dream”, le facce e il movimento spontaneo di tante persone a chiedere nient’altro che ciò che è ragionevole ottenere per ogni cittadino in una democrazia degna di tal nome: che sia represso l’odio, che sia sancita la parità, che la collettività si schieri con chi chiede rispetto e dignità e contro chi la nega. Migliaia di persone riunitesi solo grazie al tam tam della rete, senza sigle e senza bandiere, nello stesso momento a Roma, a Torino, a Bologna e in altre città, e stasera anche a Milano. Li hanno chiamati “Micropride”, piccoli momenti di orgoglio auto convocati, spontanei, fatti più per confermare quello che ciascuno che non sia completamente cieco già vede che per affermare ciò che si vuole in mala fede ignorare. Come ha fatto la stampa, per esempio, che la mattina dopo nulla ha detto di tutte queste manifestazioni. In questi giorni, come molti esponenti della mozione Marino, anch’io vado in giro con la mia fascetta rossa al braccio a riaffermare l’importanza fondamentale per una democrazia di una stampa libera, eppure qualche volta mi pare che la stampa sia la peggiore nemica di se stessa. “Bucare” un evento di questo genere è stato segno di una miopia preoccupante, nella migliore delle ipotesi. E’ il segno dell’incapacità di percepire movimenti della società che significano molto di più, in prospettiva, di quello che possono apparire all’osservatore distratto. Nei giorni in cui si usa l’accusa di omosessualità come la massima arma di delegittimazione di un avversario politico e si richiamano le schedature di massa e non desiderate “attenzioni” da parte della polizia, il fatto che migliaia di omosessuali e dei loro “alleati” (amici, fratelli, genitori, colleghi di lavoro) si ritrovino spontaneamente insieme, in pubblico, senza nascondersi, ad affermare il fatto oggettivo e sereno della propria esistenza dovrebbe colpire quanto un pugno in un occhio. Tra non molto tempo la Corte Costituzionale dovrà valutare la costituzionalità del divieto per le coppie dello stesso sesso di contrarre matrimonio, sulla base di due belle, ragionevoli e convincenti ordinanze (del Tribunale di Venezia e della Corte d’Appello di Trento) che hanno in via di diritto avanzato ficcanti perplessità sulla ragionevolezza di queste norme. Ovemai la Corte decidesse per l’incostituzionalità, il matrimonio tra persone omosessuali diverrebbe legale da un giorno all’altro e migliaia, forse centinaia di migliaia, di famiglie che già esistono intorno a noi vedrebbero la luce del sole come è già accaduto in tutti i paesi d’Europa. Le fiaccole del corteo di venerdì a Roma, e quelle che vedremo a Milano stasera alle 21, sono forse il simbolo di questo primo pezzo del nostro paese che riusciamo a tirar fuori dal pozzo buio in cui ci siamo cacciati.