19 Maggio 2007

Il Partito Democratico e le identità – Giuseppe A. Veltri

Cervelli in fuga

Nella recente riunione del circolo di Libertà e Giustizia di Londra, chi era presente avrà notato che non sono tremendamente fiducioso sulle sorti del futuro partito democratico, essendo preso di mezzo da quella tensione tra il fervore ideale di Ivan ed il pragmatismo del buon Rocco.
E devo aggiungere che, se i membri del futuro partito democratico fossero genuinamente interessanti e motivati dall’amore per l’Italia come le persone incontrate all’Italian Bookshop martedì scorso, non avrei alcuna difficoltà ad aderire al PD.


Nonostante ci siano tanti ragionevoli dubbi ed una buona dose di cinismo che il mio essere meridionale mi ha donato, in linea di principio, a me l’idea di costituire un nuovo partito con le fattezze del partito democratico non dispiace.
Non entrerò nel dettaglio dei contenuti politici ed economici, pur avendo una opinione in merito, ma vorrei illustrarvi una semplice considerazione da un punto di vista diverso. Il PD, dicevo, in linea di principio è accettabile come operazione politica perché rappresenta l’unico modo possibile per superare le divisione identitarie che la storia, le trasformazioni socio-economico hanno reso sempre più flebili ed a volte anacronistiche.
Esiste soltanto un modo per superare delle divisioni di identità: crearne una nuova comune.
Se ci pensate, è quello che è successo in Europa, dopo la seconda guerra mondiale, nel caso delle identità nazionali. Dopo secoli di guerre fratricide, milioni di morti da un parte e dall’altra, qualcosa di incredibile è accaduto: una nuova identità soprannazionale è emersa. Certo, siamo ancora lontani dall’avere una piena identità europea, ma il percorso è stato iniziato e se aveste l’opportunità di viaggiare indietro e raccontare ad un cittadino tedesco, francese, inglese o italiano che in futuro in Europa avremmo avuto la stessa moneta, avremmo avuto totale libertà di movimento e di residenza, vi avrebbero presi per pazzi.
Esisteva un solo modo per evitare altre guerre, un solo modo per fare sì che oltre all’essere tedesco od inglese, esistesse qualcosa che mettesse in comune, qualcosa da condividere: creare una nuova identità comune.
L’identità europea ha permesso di superare gli aspetti più pericolosi ed aggressivi delle identità nazionali. Le nuove generazioni che crescono con questa nuova identità a loro disposizione, la faranno propria e sarà qualcosa di imprescindibile, cosa ancora inconcepibile per molti di noi. Essere europei, per loro, significherà molto di più quanto lo sia per noi.
Il partito democratico potrebbe assolvere ad una funzione simile, nel piccolo dell’Italia. Esiste soltanto un modo per superare le diverse identità politiche che costituiscono buona parte del centro-sinistra italiano: quella di creare una nuova identità politica. Questa esigenza non viene soltanto dalla necessità di diminuire la frammentazione politica italiana ma, soprattutto, dalla innegabile esigenza storica ed intellettuale di ripensare la propria identità politica alla luce degli eventi storici recenti e delle trasformazioni socio-economiche in atto.
Si tratta di dover ammettere che la propria vecchia identità politica non è più adeguata e che una nuova debba essere costruita, rinunciando a pezzi della vecchia che la realtà ha reso anacronistiche o semplicemente dichiarato inefficaci.
Quindi, in linea di principio, non vedo nulla di sbagliato nel cercare di creare una nuova identità politica che aiuti a superare le obsolete divisioni delle pre-esistenti identità politiche e che quindi sia il veicolo per creare una nuova comune appartenenza.
Detto questo, è chiaro che i contenuti di questa nuova identità sono e saranno determinanti per determinare il successo di questa operazione. Il confronto delle idee, delle politiche sociali, delle visioni sul futuro dell’Italia, della sua economia, della sua società, della sua cultura, dovrebbero essere i mattoni su cui costruire ‘la nuova casa’ (espressione tanto amata dai politici del centro-sinistra). E’ il modo in cui quel qualcosa di nuovo in comune deve essere creato.
Ma poi, dal ragionamento in linea di principio, arriviamo alla necessità di guardare alla realtà ed all’essere pragmatici. E, vi confesso, scendere questo scalino e vedere cosa accade in questi giorni non è molto piacevole.

3 risposte a “Il Partito Democratico e le identità – Giuseppe A. Veltri”

  1. Paolo ha detto:

    Cosa centra con i cervelli in fuga?

  2. argo ha detto:

    Per onestà devo premette innanzitutto che io sono di destra. Anche perchè quanto stò per dire è molto poco di destra.
    Innanzitutto credo che il commento di Paolo non sia corretto. Forse in senso stretto sì. Ma questi emigrati od emigranti hanno contato e molto proprio nella nostra politica recente. Tanto per dirne una.
    Non solo ma l’altra sera Pansa (non ricordo in che trasmissione) ha detto che il sistema politico italiano è riformabile
    solo dagli stessi politici (ne dubito a differenza di Pansa) o da qualcuno dall’esterno. Non sottovaluterei questo qualcuno ,che può essere più d’uno, che viene dall’esterno. Mica poi deve essere un soggetto reale. Le regole Cee sono l’unica cosa che sembra modificare situazioni di potere vecchie come il cucco. E dite niente !!
    Altro che regole sulla compatibilità dei nostri cari politici. Ci chiedono chiarezza e se non la diamo spostano i loro soldi
    altrove. Il furbo italiano non è più di moda.
    Comunque volevo dire questo. Il Partito Democratico è un errore grossolano. Se le dirigenze di partito della Margherita e
    dei Ds hanno tentato questa strada è perchè non hanno visto null’altro che i benefici a stretto giro. Pensavano che mettendosi d’accordo avrebbero preso tutto il coccuzzaro. Mi fanno sorridere perchè riconosco l’opportunismo falso e
    intrigante che non ha più spazi. E’ ora di andare a casa caro d’Alema e caro Rutelli. Pensate che sbagli.
    Impossibile. L’operazione costerà voti a destra e a sinistra. Non ci saranno i numeri per governare.
    Cosa pensate cari uomini di centrosinistra ,se la vostra posizione fosse forte mai e poi mai Montezemolo
    se ne sarebbe uscito con questo attacco alla politica. Lui si che ha tutte le probabilità di vincere il coccuzzaro.
    E non gli serve neanche fare politica direttamente. Oggi ,dopo in fondo aver sperato che Prodi potesse portare a
    una stagione nuova del fare politica, devo ringraziare che esista un Berlusconi. Vedete un po’ voi dove siamo finiti.

  3. G.V. ha detto:

    Paolo, non c’e’ bisogno di essere pignoli, non importa piu’ di tanto quale sia la sezione del blog.
    argo,
    I dubbi sul PD rimangono tutti e figuriamoci se saro’ io a negarli.
    Personalmente, sono stato stupito dalla velocita’ con cui si e’ accantonata la discussione culturale sui contenuti del futuro PD.
    Per qualche mese, ci si e’ limitati a dire ‘bisogna farlo per sbloccare la politica italiana’ senza scendere su nessuna visione politica precisa (tranne molta retorica sui temi come meritocrazia, politiche giovanili, riforma universitaria, liberalizzazioni ecc.). Ogni leader e medio dirigente scrisse il suo bell’articoletto uscito su Repubblica o l’Unita’ e poi nulla.
    Quello che ho cercato di dire nella breve riflessione che avete commentato e’ che in linea di principio fondare una nuova identita’ politica per superare quelle esistenti e’ un passo corretto. Ma una identita’ si crea discutendo su quali debbano essere i cardini di tale identita’, i suoi VALORI.
    E su questo argo ha ragione, l’identita’ e’ ancora debole.