E’ già passato un anno. Guardavo le foto, scattate in tutta Londra alla gente in silenzio quest’oggi a mezzogiorno, e ripensavo al 7 di luglio di un anno fa, e alla città che era la mia città. In tutte quelle foto ho trovato qualcosa di familiare, i dettagli degli autobus, i numeri gialli, le improbabili tappezzerie blu fantasia dei sedili, il verde delle insegne della District line, la stazione di King’s Cross, soltanto a una fermata dalla “mia” stazione, quella di Angel. Ho vissuto a Londra per più di tre anni, l’ho amata tantissimo, a volte l’ho anche detestata parecchio. E la cosa che oggi mi resta più forte è questa intimità con i dettagli, la sensazione di conoscerla perfettamente: non per averla vista tutta, mancherebbe, ma per aver visto fino in fondo, fino quasi a possedere, tutto quello che ho visto. Per le memorie precise dei suoni e le memorie precise dei gesti: il beep beep delle porte dei bus, l’aprirsi e il richiudersi dei tornelli del metrò, lo strisciare veloce dell’abbonamento, la Oyster card, sopra il lettore. E poi le immagini, vive e quasi come presenti, della mia quotidianità di pendolare: la gente sulle scale mobili, il treno della DLR che senza conducente emerge dal suolo mentre esce dalla stazione di Bank, i grattacieli di Canary Wharf in lontananza e sempre più vicini, gli adesivi di Londra 2012, città candidata, attaccati sui vetri della stazione. E’ passato un anno e il 7 luglio mi è rimasto lì, attaccato addosso. E’ roba che appiccica, quella. Dalla finestra sento il rumore delle macchine in strada, c’è pure in lontananza una sirena. E’ una serata scandalosamente rosa di piena estate, qui a Mosca, un anno dopo.