31 Dicembre 2005

Welcome to Malpensa, Italia

Diario

Prima di cominciare con la sarabanda degli auguri, dei pensieri di fine anno e quant’altro devo assolutamente raccontare del mio impatto con la madrepatria ieri sera. Dunque, volo AZ561 da Mosca a Milano Malpensa. Solito ritardino di una mezz’oretta, e passi. Ma poi arriviamo, io e tutti gli altri passeggeri, in prevalenza russi, al nostro nastro trasportatore dei bagagli, il numero 8. Sui monitor che incombono sul nastro campeggia una scritta: Moscow AZ 561. Atterraggio ore 20.01. Cominciano a passare i minuti, le decine di minuti. Otto e venti, otto e trenta, otto e quaranta. Nulla. Nemmeno un beauty case, nulla. Non so quante volte mi sia già capitato, a Linate e alla Malpensa, di aspettare così tanto tempo. Ho viaggiato per mezzo mondo, vivo in quella che consideriamo l’arretrata e inospitale Mosca, e mai, dico mai, aspetto i bagagli per ore in altri posti. Mi imbarazzo guardando ad un tempo i cartelloni delle olimpiadi torinesi e tutti i russi intorno a me. Avessi intorno gente della Silicon Valley potrei guardarli e con gli occhi suggerire che la loro tecnologia, beh, qui non ce l’abbiamo ancora. Ma questi sono russi non californiani e a Sheremedovo, Mosca, capperi, i bagagli arrivano! Otto e cinquanta, vado a parlare con le signorine della SEA, mi sforzo di essere cortese e sorridente. Glielo dico che queste cose succedono solo da noi, glielo dico che nemmeno se ce le portassero strisciando queste benedette valigie si giustificherebbe un’attesa di cinquanta minuti, che siamo un paese che vorrebbe vivere di turismo e che questa incomprensibile attesa è il biglietto da visita che diamo ai nostri ospiti, che la prossima volta andranno in Spagna… Mi sorridono gentilissime e disperate e mi dicono: guardi, ha ragione, non lo dica a noi… Sono le nove. Il primo bagaglio – registra il monitor – è consegnato alle 9.02. Un’ora e un minuto. Quando la sirena segnala l’arrivo dei bagagli una bella ragazza moscovita alza il pollice e dice qualcosa che sarà stato un “Evvai!!!”. Un’ora e un minuto. Non ci posso credere. E sapete cos’è che mi fa salire su questa rabbia incontrollabile? Non solo la solita approssimazione, la solita assenza di organizzazione e di professionalità, non solo la solita strafottenza nei confronti del cliente, non solo l’assoluta mancanza di spiegazioni, non solo l’assenza di qualcuno che si assuma uno straccio di responsabilità, tutte cose che hanno a che fare con la nostra bella Italia. E’ una cosa che ha a che fare con la compassione tra esseri umani: che il tempo dei viaggiatori è prezioso. Quando atterri alle otto di sera alla Malpensa e sai che dovrai ancora viaggiare per un’ora prima di arrivare a Milano città e che quella lunghissima ora si frappone ancora tra te e i tuoi affetti; che prima di riabbracciare il tuo amore, i tuoi amici, hai ancora del tempo, che si aggiunge a quello che già hai passato volando da Mosca, Parigi, Rio, Città del Capo o Hong Kong proprio per tornare da lui, da lei, da loro, aggiungere un’altra inspiegabile ora di attesa delle valigie è una crudeltà, una tortura, un’incomprensibile vessazione.