30 Dicembre 2005

L'occhio invasivo di Dio

Diritti

“Gli occhi amorevoli di Dio si rivolgono all’essere umano, considerato nel suo inizio pieno e completo”, mentre “è ancora informe nell’utero materno”. Papa Benedetto XVI nell’Udienza Generale di questa mattina davanti a circa 30 mila fedeli è tornato a sostenere la necessità di tutelare la vita sin dall’embrione.
Il Pontefice ha ricordato che l’embrione è descritto nella Bibbia come “una piccola realtà ovale, arrotolata, ma sulla quale si pone già lo sguardo benevolo e amoroso degli occhi di Dio”. Per la Bibbia, ha proseguito
Benedetto XVI, “di quell’embrione ancora informe, Dio vede già tutto il futuro: nel libro della vita del Signore già sono scritti i giorni che quella creatura vivrà e colmerà di opere durante la sua esistenza terrena”. Nella Bibbia, ha scandito, “appare anche la grandezza di queste piccole creature umane non nate, formate dalle mani di Dio e circondate dal suo amore”. E il salmo 138 rappresenta dunque “un elogio biblico dell’essere umano dal primo momento della sua esistenza”.
(Fonte: Repubblica.it, 28 dicembre 2005)
Nel suo “Il corpo della donna come luogo pubblico”, la storica Barbara Duden mostra come il “feto”, prodotto della società moderna e dei suoi mezzi di visualizzazione, sia diventato un’entità mediatica e quindi una “vita sacra fin dal suo principio”. Fino al XIX secolo, l’inizio della gravidanza è legato al primo movimento del bambino. Si tratta di un vissuto esperienziale accessibile solo alla donna, che con la sua testimonianza decreta un fatto che assume validità sociale. La progressiva crescita di potere e autorità della casta dei medici scorre in parallelo con la “libido videndi”, il desiderio, la brama di vedere ciò che è occulto nel corpo umano e invisibile agli occhi. I raggi X, i moderni apparecchi ecografici, la fetoscopia in situ mediante fibre ottiche trasformano radicalmente la percezione dell’evento: reale è ora solo ciò che viene registrato clinicamente, l’esperienza tattile-vissuta si capovolge in un’esperienza visuale ancora molto sfocata e informe che il medico deve creare interpretandola. Il feto, per secoli considerato inseparabile dal corpo materno, diventa un homunculus in se stesso compiuto, un astronauta nel sacco amniotico legato alla madre come fonte di approvvigionamento. Tutti siamo ormai abituati a vedere le immagini dell’istante della fecondazione. Esse in realtà ritraggono oggetti più piccoli di un’onda luminosa, dunque invisibili per definizione. Mediante fasci di elettroni e misurazione di campi magnetici, l’”immagine” dell’embrione ancora allo stadio di morula viene costruita fotograficamente. Il confine tra realtà e riproduzione fotografico-televisiva diviene sempre più sottile: l’embrione, come tutti gli eventi mediatici, diventa fatto non perché una madre lo riconosce ma perché le tecnologie endoscopiche lo costruiscono virtualmente. La madre scompare dalla scena: da soggetto della gravidanza ella diviene ecosistema ostile e potenzialmente mortale, portata a viversi come ambiente di crescita di qualcosa che non le appartiene, bisognosa di continua ispezione ecografica, assistenza e consulenza medica. Mentre la donna viene espropriata del proprio corpo e del proprio vissuto, ella diviene per la Chiesa, sempre più interessata a tradurre il linguaggio scientifico in verità teologica, teatro di una ierofania, cioè dell’apparizione di un’entità sacra e inviolabile. “La donna è diventata non solo il life support system del feto, ma anche il teatro della ierofania di quell’idolo che non solo si è incarnato in un’esperienza di fede, ma anche socialmente è stato trasferito dentro di lei. Si pretende un timore reverenziale nei confronti di quest’idolo; si inscenano manifestazioni di meraviglia; in lui si venera un “miracolo”: la “vita” quale assoluto capovolgimento del “vivente” a cui tutto deve essere sacrificato.” Ciò che è tenuto nascosto è che anche la vita non è un “fatto scientifico”, ma il frutto di un’evoluzione storica: ben diverso è il mondo interamente vivo del panteismo greco, dalla “vita” intesa come organizzazione genetica in un mondo ormai oggettivo, morto e inorganico come quello della scienza moderna, o come “ideologia della sopravvivenza”, entità da tutelare dall’invasività distruttiva della tecnica. E’ inquietante la sovrapposizione tra l’occhio di Dio e l’occhio (elettronico) della scienza. Ancora più inquietante è la nullificazione e la sparizione dalla sfera sociale e dal dibattito pubblico dell’esperienza, della competenza e della sovranità femminile sul proprio corpo. Ma è ogni corpo, reso spazio di iscrizione di codici genetici, legislativi, politici, ad essere espropriato. Riferendosi a uno scritto di Ratzinger, allora ancora cardinale e prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ex Inquisizione, Barbara Duden si chiede: “Come può sentirsi una donna nel pieno possesso delle proprie facoltà se deve considerare se stessa come il terreno di maturazione di stadi biologici di organizzazione consacrati? Che cos’hanno da dire le donne a un samaritano che cerca il suo prossimo nel loro ventre?”. Per questo è importante esserci, ed esserci in tante, alla manifestazione milanese del 14 gennaio. E’ giunto il momento di riprendersi la parola, di ripartire da sé, in un epoca in cui i fantasmi mediatici della “vita da tutelare” cercano di reprimere nella donna perfino la più elementare certezza di esistere.
Gabriella Stanchina