18 Ottobre 2005

Come quella frase di Alex Langer

Archivio storico

E’ l’ultima mail che pubblico tra quelle che ho ricevuto a commento del voto. Mi sembra davvero bellissima e credo sia anche uno splendido contributo alla riflessione collettiva prima del prossimo post “operativo”. Stay tuned…
Caro Ivan,
sono una tua giovane elettrice di Trento. Ho letto i tuoi post di commento sul risultato delle primarie, e le e-mail che hai ricevuto. Non posso nascondere che anche per me queste siano ore venate di amarezza, ma non dobbiamo in alcun modo permettere che l’amarezza intacchi quella determinazione gentile che tu hai così bene incarnato in ogni dibattito televisivo. Quando tu sei apparso nell’agone delle primarie ho avuto la soddisfazione, come femminista, di vedere che alcune delle pratiche politiche che hanno contraddistinto il movimento delle donne, avevano messo radici, perdurato e impregnato di sé silenziosamente una parte della cultura di sinistra, tanto da poter coscientemente essere assunte e valorizzate anche da un uomo. Parlo della pratica del partire da sé, dalle proprie competenze, dai vissuti e dalle relazioni amicali, anche dai propri intrecci affettivi nella convinzione che questo non inficia in alcun modo l’universalità del messaggio, ma anzi la sostanzia e la moltiplica, parlando alla vita e al cuore delle persone, chiamandole al protagonismo individuale, dando loro la consapevolezza (anche questa di derivazione femminista) che la vita è già politica. Un sentire e una riflessione questi, disertati costantemente dai professionisti del discorso politico, della divaricazione irriducibile tra il pubblico e il privato, tra l’astratto universale e la muta e dolorosa concretezza delle esistenze che esso normalizza e domina.
Forse è per questo tuo metterti in gioco esponendoti con viscerale passione ragionante, un’esposizione all’altro inevitabilmente non-violenta, che la tua differenza dai tuoi interlocutori si stagliava nettissima, non per una semplice diversità di opinioni o una superiorità programmatica, ma per una differenza di essere ed esserci nello spazio politico. Per un pubblico assuefatto alla mortificante litania dell’oratoria politica italiana, all’interscambiabilità infinita delle opinioni e alla loro ultima e nichilistica irrilevanza in un linguaggio fatto non più di significati, ma di meri segni-segnali di posizionamento strategico, controllo del territorio e sopraffazione dell’altro, tu sembravi, sia detto come lode e non come critica, sceso da un altro pianeta.
Più di 20.000 persone l’hanno compreso e riconosciuto, isolando la tua personalità in quei pochi e avari frammenti televisivi come sismografi molto sensibili. Il resto del pubblico, lo ripeto, è assuefatto. La soglia di attenzione rispetto alla chiacchiera politica è probabilmente da decenni tra le più basse del mondo occidentale. E tu non l’affrontavi con l’arrogante prometeismo di chi squarcia il cielo di carta del teatrino della politica (anche quella del guastatore è una parte già prevista nel grande gioco di ruolo, al limite assumibile anche, come la Lega, in una compagine governativa), ma con lucidità paziente, appassionata solllecitudine, disarmata umiltà . Qualità molto fluide e femminili in un mondo fallico e penetrante.
Le virtù femminili trionfano, la storia è lì a dimostrarlo, e cambiano il mondo alla radice. Ma, lascia che sia una donna a dirtelo, richiedono tempo, tempo, tempo. Hai mai visto una foto di una manifestazione suffragista per il voto femminile? Hai mai contato le donne partecipanti? Non erano ventimila. Erano poche dozzine, a entrare e uscire dalle carceri di mezza Europa. Eppure sempre tenacemente lì, a occupare la piazza, lo spazio pubblico, loro che la legge riservava al privato nascondimento della vita domestica, con le sedie portate da casa su cui salire in mezzo alla strada per richiamare l’attenzione dei passanti col gentile suono di una campanella e perorare la causa delle donne. Mettendo in gioco i loro corpi, esposti e vulnerabili al giudizio pubblico, le loro passioni, la forza che deriva dall’adesione alla vita e dal radicamento in se medesime. Giorno dopo giorno, per un secolo intero, perdendo con spirito indomito tutte le battaglie intermedie e vincendo trionfalmente quella finale.
Gli uomini sapevano che basta un minuto sul campo di battaglia per fare un eroe. Loro sapevano che ci vogliono nove mesi per fare un bambino, e vent’anni per farne un uomo o una donna. Sapevano aspettare che il tempo si compisse, continuando a lottare senza perdere il senso dell’umorismo. L’avevano fatto tutte le loro madri, digiune di femminismo, prima di loro.
Non vince chi trionfa (il successo è volatile), vince chi si arrende un attimo dopo del suo avversario. Tu non avrai bisogno di un secolo. Hai ventimila sostenitori e non dodici e le tue idee non sono un’avanguardia elitaria, ma qualcosa che già urge e aspira a nascere, attende solo una presa di coscienza che può essere lenta ma è irreversibile. C’è una bellissima frase di Camus, tratta da “Lettera a un amico tedesco”. E’ stata scritta durante la resistenza al nazionalsocialismo, ma può valere alla perfezione per il progetto coraggioso che hai intrapreso: “Le armi delle quali lo spirito europeo dispone contro di voi sono quelle che possiede questa terra che perenne fiorisce di messi e di corolle. La lotta da noi sostenuta ha la sicurezza della vittoria, perchè ha l’ostinazione della primavere”.
Riguardo ad alcuni dei messaggi sconfortati apparsi nei commenti al tuo blog: noi italiani abbiamo forse dimenticato che la natura non fa salti e la storia non fa miracoli. L’abbiamo dimenticato perchè siamo stati condizionati dallo spaventoso effetto di compressione spazio temporale e virtualizzazione creato dal fenomeno Berlusconi, sceso in campo pochi mesi prima delle elezioni in forma mediatica ed eletto plebiscitariamente. Berlusconi è stato quello che Baudrillard definisce “il trionfo dell’effetto sulla causa, il trionfo dell’istantaneo sul tempo come profondità, il trionfo della superficie sulla profondità del desiderio”. Non dobbiamo farci ingannare da queste convulsioni della storia, né dall’accelerazione illusoria del tempo e dei rapporti generata dalle tecnologie informatiche.
Un nuovo soggetto politico è un organismo che deve crescere, formarsi, sedimentarsi e poi competere. Senza rimpianti. Ivan, hai fatto, abbiamo fatto moltissimo in questi due mesi. Ce n’est qu’un début. Abbiamo appena cominciato. Tu non mollare. Abbiamo bisogno di te. Abbandona l’amarezza e attieniti alla frase di Alex Langer: più lento, più profondo, più dolce. E’ il mondo nuovo di cui abbiamo bisogno.
Un abbraccio
Gabriella Stanchina
Trento