2 Maggio 2015

La doccia scozzese

Appunti

A volte si ha l’impressione che l’atto più rivoluzionario che si possa compiere in questo Paese sia quello dell’equilibrio. Che si debba trattenere l’entusiasmo e l’orgoglio che –per esempio- provo da milanese e da italiano nel vedere la splendida inaugurazione dell’Expo, e al tempo stesso si debba frenare l’indignazione e la rabbia per la ferita e lo sfregio che alcune centinaia di criminali hanno inflitto a Milano e all’Italia nelle stesse ore.

Non perché non si debba, in questa doccia scozzese emozionale, negare l’uno o l’altro sentimento; ma perché non si deve credere che la scommessa vinta dell’Expo (la prima e la più difficile, anche se ve ne saranno altre) abbia risolto d’incanto tutti i nostri gravi problemi o sia stata frutto del sempiterno stellone d’Italia. E non si deve per converso trascinare nell’infamia degli scontri e dei vandalismi dissensi, critiche e proteste che –le si condivida o meno, e io le contesto in radice- possiedono una cornice di legittimità democratica che deve essere garantita.

Perché la ragione ha una voce più profonda delle urla dell’istinto: ed è un sacramento laico da osservare e onorare anche quando, soprattutto quando, appaia inutile o frustrato. Con la ragione diciamo che la scommessa vinta da Expo è frutto della formidabile capacità di lavoro messa in campo in questi mesi; è frutto della bonifica compiuta da Raffaele Cantone, del piede premuto sull’acceleratore da parte del sistema degli enti locali e delle imprese; ed è anche –pro quota- frutto dell’azione di un Governo e di un premier che non si tira indietro quando c’è da metterci la faccia, motivare il Paese, prendersi delle responsabilità, assumersi dei rischi; tutte cose per le quali gli si può anche perdonare qualche distrazione protocollare che qualcuno tra i più noti dei suoi oppositori non ha perso tempo a sottolineare.

Il successo di oggi è frutto dello sforzo di ieri; ed è un buon indicatore di come si deve continuare a procedere. Certo, è sperabile che alla fine si trovi qualche chiodo non messo alla perfezione o qualche parete non adeguatamente tinteggiata, in modo che Libero e il Fatto possano farci un titolo; ma noi nel frattempo, dobbiamo preoccuparci soprattutto di applicare il metodo Expo senza attendere di esservi costretti; di non tenere cantieri fermi per poi costringerli ad un rush finale miracoloso, ma di farli funzionare sempre, tutti i giorni.

Allo stesso modo, dobbiamo laicamente interrogare il movimento NoExpo su quello che è accaduto. Perché, al netto delle valutazioni sulla gestione dell’ordine pubblico e sulle richieste di dimissioni del ministro Alfano (che prima facie mi paiono abbastanza pretestuose) non si può far finta che alieni violenti siano sbucati dal sottosuolo come nei cartoni animati giapponesi e abbiano trasformato in guerriglia un pacifico rassemblement.

Sarebbe ingiusto attribuire al movimento NoExpo condotte che appartengono ad una minoranza di facinorosi. Ma se gli atti di quella minoranza trovano addentellati ed agganci in slogan e toni violentissimi, se la protesta si autocandida ad interpretare una fase preinsurrezionale, diventa difficile separare il grano dal loglio.

Chi indice manifestazioni –lo ripeto, del tutto legittime- deve avere la capacità (politica, organizzativa e concettuale) di isolare i violenti. Deve rifiutarsi di essere l’acqua in cui nuotano i pesci della devastazione e dello scempio. Se non lo sa fare, con tutta la buonafede che posso riconoscere a un ottimo artista come Fedez, per esempio, è inevitabile che le sue ragioni, anche le più nobili, finiscano per essere affievolite e distorte.