25 Gennaio 2015

Eclissi di Grillo

Politica italiana, XVII Legislatura

Beppe Grillo ha declinato con il consueto garbo l’invito del Partito Democratico ad un confronto per il Quirinale. Il nostro è un Paese libero: invitare è un dovere, rispondere è cortesia. Ma penso sia evidente a tutti che si tratta dell’ennesima desolante confessione di impotenza di un movimento che ha cercato di incarnare una rabbiosa speranza di cambiamento e si ritrova a sprecare la sua forza come cassa di risonanza di un senescente uomo di spettacolo, che per giunta, ormai, di buone battute ne azzecca sempre meno (cfr. la penosa facezia sui napoletani geneticamente disonesti).

Il fatto è che – malgrado le espulsioni e le epurazioni, il passaggio dall’uno vale uno al Presidium del Politburo, le furbate tattiche per far detonare le tensioni interne al nostro e ad altri partiti – il Movimento Cinquestelle non ha uno straccio di proposta che non sia l’abbaiare alla luna sull’euro o l’invettiva contro le istituzioni. Era vero anche all’inizio, certo: ma la fiammata emotiva dell’elettorato e l’enorme consenso conquistato alle elezioni avevano fatto da paravento al deserto politico e programmatico visibile alle spalle di Grillo e Casaleggio. È comprensibile che se la prendano con Napolitano e Renzi: probabilmente, senza questi due, la politica italiana avrebbe continuato ad avvitarsi nella morta gora che aveva aperto ampie praterie ai Cinquestelle dopo esserne stato la placenta.

Non è andata così. Le europee non sono state vinte, l’impennata dell’assenteismo ha castigato tutti i partiti, ma anche e soprattutto chi ambiva ad essere ritenuto differente e puro, le riforme sono andate avanti. L’Italia non si è sfasciata, e chi aveva puntato sullo sfascio non ha saputo cambiare registro. Si continua con lo stesso frusto copione a beneficio di spettatori sempre meno numerosi e sempre meno fiduciosi. Nell’eclissi di Grillo non c’è molto di cui ci si debba rallegrare. Gli umori venefici che hanno prodotto l’ubriacatura grillina non spariranno insieme ai voti, e potrebbero trovare rappresentanza in cose ben peggiori del Movimento Cinque Stelle. Ma non c’è modo di evitarla.

La personalità ducesca o napoleonide di Beppe da Genova lo costringe a vincere o perire, a travolgere di schianto “il sistema” o scomparire nella frustrazione dell’impotenza. Ma la politica consiste anche nel sapersi attrezzare alla trincea, nel comprendere che uno sforzo costante, concreto, incisivo vale più di episodici, estemporanei colpi di teatro. Cambiare l’Italia è cosa di lunga e faticosa lena, non esito portentoso di una notte di tregenda. Chi lo crede non fa che renderla ancora più disperatamente uguale al peggio di se stessa.