24 Ottobre 2014

Il cammino della Leopolda

Democrazia, Governo Renzi, Ivan Scalfarotto, Partito Democratico

A Foggia, la città dove ho trascorso infanzia e adolescenza, c’era un accorsato negozio di scarpe che si chiamava “Leopoldina”. La sua pubblicità, nelle rime un po’ ingenue di fine anni Sessanta, era “cammina, cammina, con le scarpe Leopoldina”.
Sarà per la forza e la suggestione dei ricordi infantili, ma mentre raggiungo Firenze per prendere parte alla Leopolda 2014 (nella foto un’immagine dell’edizione 2013), penso di avere sempre ritenuto questa kermesse, convention o assemblea che dir si voglia, la tappa di un tragitto, il senso di un percorso o di un cammino.
Un cammino, e non una scalata: non è stata la Leopolda a lanciare Matteo Renzi verso la conquista del Pd e della premiership; è stata la realtà italiana, con le sue insufficienze, i suoi limiti e le sue formidabili opportunità a creare ad un tempo il bisogno che ha generato la Leopolda e l’ascesa di Matteo.
Un cammino, e non una corsa: fin da quando è cominciata, la Leopolda si è caratterizzata per la sua totale mancanza di intenzioni celebrative e di “conteggi”. Non abbiamo mai pensato che a Firenze si riunisse l’Italia migliore e che somigliasse alla Valle di Giosafatte dove i giusti vengono separati dagli iniqui.
Ci siamo incamminati, al modo antico in cui i pellegrini andavano dall’uno all’altro santuario della cristianità medioevale: guardandoci intorno, apprendendo, attraversando.
Perché c’erano molte cose che non ci piacevano dell’Italia e ce n’erano ancora di più che non ci piacevano della politica italiana.
Non solo della sua fisionomia, ma della sua assenza o latitanza. Cercavamo una via di partecipazione che non fosse la plumbea palude degli apparati, ma nemmeno la disperazione del ribellismo o dell’astensione.
Un ragionamento che chiamava in causa i partiti, a cominciare dal nostro; ma non era in funzione di essi. Per questo, mi spiace deludere gli appassionati del “c’era questo, c’era quello” non è mai stata l’assemblea della “corrente renziana”, e per questo trovo insensate, per quanto legittime, le perplessità di chi la riteneva incompatibile con l’incarico di segretario che Matteo riveste.
Non vado ad una assemblea di corrente, tanto meno vado al giuramento della Guardia Pretoriana del “partito-nazione”. È una formula un po’ ambigua, con un retrogusto bellicoso e militaresco che non mi appartiene.
La mia idea è che serva un “partito-Paese”, che è certamente legato a tutto quel complesso di cose che chiamiamo Patria, ma abbia anche l’ambizione di rappresentare una “classe generale”.
Detto in altri termini, una forza inclusiva, che proponga idee lungimiranti, solidali e condivise per uscire dall’Italia dei campanili, degli egoismi, delle corporazioni e delle tifoserie.
Da quando ci siamo incamminati, e sembravamo null’altro che capricciosi cultori del nuovismo, riassunti e imprigionati nella formula giornalistica della rottamazione, c’è stata qualche novità: per esempio un presidente del Consiglio più giovane (ma non di molto) dei leader di molti Stati europei; donne al Governo in ruoli chiave, nei quali un tempo la presenza femminile sarebbe stata impensabile; manovre di politica economica anticicliche e basate su precise scelte di crescita; la riforma della Costituzione; la fine della guerra civile fredda che ha caratterizzato l’età berlusconiana; la prospettiva di una troppo a lungo attesa fuoriuscita dal Medio Evo dei diritti negati.
C’è stato o va mostrandosi proprio quel ritorno della politica che chiedevamo a gran voce. Che avrà bisogno ancora di lunga lena, di grande impegno, di molto sogno e molta fiducia. Il cammino è ancora lungo. Serviranno molte altre Leopolda.

Leopolda