L’Italia che voglio

1. Un’Italia più incline a rischiare su se stessa
In altre parole, un’Italia più incline a innovare e a lasciare la via vecchia per la nuova. Un’Italia che non cerca solo rassicurazioni, ma opportunità e che non ha paura di sperimentare. Un posto che sostituisce la paura che la immobilizza con la consapevolezza delle proprie potenzialità. Un posto che cresce perché crede in se stesso e ci crede tutto intero, consapevole che solo il benessere collettivo può creare un benessere individuale duraturo. Un paese libero dai suoi istinti corporativi, che ha chiaro davanti a sé che ogni piccolo sacrificio di ciascuno può ritornare indietro (con gli interessi) nella forma della partecipazione a una società complessivamente più sana e più prospera.

2. Un’Italia più inclusiva e giusta
Che poi vuol dire un’Italia che sa che quella che dobbiamo vincere è una gara simile al ciclismo a squadre, in cui il tempo si misura quando arriva al traguardo l’ultimo del team. Un’Italia che non si scorda delle persone più deboli o meno fortunate, che riduce le differenze ingiustificate, che utilizza tutti gli strumenti che ha per ridurre gli svantaggi. Un luogo dove a ciascuno sono garantite in partenza pari opportunità di successo. Un paese non più socialmente immobile. Un posto in cui tutti pagano le tasse e dove i soldi rivenienti dalla lotta all’evasione fiscale sono destinati a ridurre la pressione fiscale, perché si capisca davvero che pagare tutti significa pagare meno. Un’Italia che rispetta le persone che hanno abilità diverse, rimuovendo ogni barriera, quelle architettoniche e quelle nella testa della gente; che celebra il fatto di essere una società multiculturale, diversificata e ricca; che non fa differenza sulle caratteristiche individuali e sa che il talento di ogni cittadino, qualsiasi siano il suo genere, età, etnia, orientamento sessuale, abilità, identità di genere è una risorsa preziosa per il paese. Un’Italia, infine, il cui sistema carcerario non sia una macchia sul nostro senso di civiltà e di giustizia, come accade oggi, e dove la tortura sia un crimine definito per legge.

3. Un’Italia a suo agio col nostro tempo
Un posto dove si capisce chiaramente che la banda larga è un’opportunità enorme di ricchezza e di libertà. Un’Italia dove le donne contano quanto gli uomini in ogni luogo di decisione – politico, economico, giuridico, aziendale – senza temere la violenza verbale o fisica dentro e fuori dalla propria casa. Un’Italia che ha gli occhi per vedere che l’idea di famiglia è cambiata più negli ultimi 50 anni che nei mille anni precedenti, e che le famiglie sono tante, diverse e tutte bellissime. Un paese dove, al cambiare della realtà del lavoro e della produzione, non si ha paura di rivedere la forma delle tutele di cittadini e lavoratori per fare in modo che restino il più possibile vere, vive ed efficaci nella sostanza. Un paese dove i cambiamenti della nostra società non sono considerati una maledizione spaventosa, ma normali fenomeni che necessitano di essere regolamentati, anche prendendo decisioni coraggiose e di avanguardia.

4. Un’Italia più disciplinata e responsabile
Un posto totalmente libero dal giogo della criminalità organizzata, quella che spara e quella dei colletti bianchi. Un luogo dove si combatte la corruzione in ogni sua forma e dimensione, quella enorme e quella minuta. Un paese dove si pagano le tasse, e si capisce bene perché è necessario farlo tutti. Un’Italia dove vige un principio di responsabilità individuale, dove si sa chi è il titolare di ogni decisione a cui chiedere conto delle cose fatte e non fatte (“accountability”, una parola intraducibile in italiano). Un paese dove si valutano le persone per i risultati concreti. Un posto dove i progetti si completano per tempo e secondo le condizioni concordate (“delivery”, altra parola intraducibile in italiano). Un posto che spende, ma non spreca. Dove un incompetente ben pagato fa scandalo non tanto per la sua paga, quanto soprattutto per la sua incompetenza.

5. Un’Italia efficiente ed eccellente, che sfrutta il suo potenziale
Un posto dove c’è una visione, una regia, un’idea chiara di Paese: dove investimenti e sforzi sono mirati e non cadono casualmente, a pioggia, per compiacere ogni campanile. Un paese che costruisce sulle cose che sa far bene. Ma che sa anche replicare le cose buone fatte in altri paesi e sa far circolare le buone idee al suo interno. Un posto libero dalla burocrazia, che utilizza intensamente la rete e semplifica i suoi processi, così riducendo la corruzione e introducendo il senso dell’accountability. Un luogo in cui la politica crea le infrastrutture e le condizioni economiche, fiscali e organizzative per facilitare il lavoro delle nostre imprese. Un luogo dove si ottiene velocemente giustizia, penale e civile. Un’economia che rilancia il turismo e si dà una politica industriale e una politica energetica. Un paese in cui l’ambiente, il territorio e il mare sono protetti con mano ferma, in cui si sviluppa un’industria dell’agro-alimentare di livello mondiale, e in cui si investe nelle energie rinnovabili facendo in modo che non solo riducano l’inquinamento ma portino anche prosperità alle comunità locali. Un’Italia che costruisce sulle sue differenze e che cresce tutto intero: nord e sud insieme, facendo leva sui punti di forza di tutte le aree geografiche. Un posto dove ci si sposta facilmente anche senza possedere un’automobile.

6. Un’Italia che decide
Una democrazia che non ha paura di prendere decisioni, dove i livelli di responsabilità sono chiariti in modo definito. Dove una decisione giusta è – ovviamente – molto meglio di una decisione sbagliata, ma una decisione sbagliata è meglio di nessuna decisione. Dove il cittadino conosce il suo interlocutore nella pubblica amministrazione e i suoi rappresentanti (ma meglio il suo rappresentante, al singolare) nella politica. Un posto dove le leggi sono poche e chiare. Un paese dove non si ha paura di fare delle riforme e anche di scontentare una parte della popolazione, se necessario: le decisioni che fanno contenti tutti in genere non sono buone decisioni. Un paese in cui si sceglie sulla base del solo merito perché questo è il sistema più equo che esiste e più vantaggioso per la collettività: gli altri criteri (censo, origine regionale o familiare, amicizie, protezioni e appartenenze di vario tipo) non sono né equi né vantaggiosi.

7. Un’Italia più europea e simile alle grandi democrazie del mondo
Una democrazia compiutamente bipolare, con un sistema elettorale che favorisce il rapporto tra eletti ed elettori (come accade con piccoli collegi uninominali). Un luogo dove sono banditi totalitarismi e fascismi, perché è vero che ogni opinione è legittima, ma è ancor più vero che la libertà di ciascuno finisce dove inizia quella degli altri. Con governi stabili. Un paese in cui non sei giovane fino a 50 anni e dove le donne contano quanto gli uomini. Un posto iper-garantista per i cittadini ma dov’è chiaro che la responsabilità penale e la responsabilità politica sono due cose molto diverse tra di loro: il cittadino è innocente fino a sentenza passata in giudicato, ma se vuole assumere un ruolo di leadership deve essere incensurato. Un paese in cui c’è un rispetto assoluto, direi sacrale, per le istituzioni e tra i vari poteri dello Stato. Un posto dove la gente pensa, come fanno gli americani, “Right or wrong, my country”. Un luogo dove il cittadino comprende che sostenere una parte politica significa anche sostenerla finanziariamente, e che quindi non vede i partiti finanziati a pioggia coi soldi di tutti.

8. Un’Italia più libera e adulta
Un paese senza censure, che si assume le sue responsabilità, che non cerca capri espiatori. Un luogo dove la rete è libera e accessibile per tutti, in ogni angolo del Paese, e senza che nessuno di tanto in tanto decida di chiuderla o controllarla con una scusa o un’altra. Un’Italia che si aspetta un linguaggio di verità, anche quando è duro sentirlo. Un popolo che è, come è sempre stato, disponibile a fare sacrifici quando questi sono comprensibili, equi e proposti da una classe dirigente credibile. Un paese privo di monopoli e di monopolisti, di ordini professionali e di corporazioni, di barriere all’ingresso nelle professioni e nei mercati. Un paese in cui le lauree non hanno valore legale, cosicché esse valgono per quello che sai e non per il pezzo di carta che hai messo in cornice. Un posto che non vuole essere governato da venditori o imbonitori, ma da una classe politica magari pure noiosa ma affidabile e rispettabile. Un paese, infine, che mantiene sempre la parola data. Senza condoni, senza scudi fiscali, dove rispettare la legge non è né un optional né una dimostrazione di ingenuità.

9. Un’Italia che pensa al futuro
Un paese amico dei giovani, che comprende che tanti di loro vanno via non in cerca di garanzie ma di opportunità: opportunità di trovare lavoro e opportunità di crescere professionalmente e umanamente solo sulla base dei propri meriti e dei propri talenti. Amico anche dei bambini, delle mamme e dei papà, con tanti asili nido, spazi per crescere e giocare, e dove fare un figlio non sembri un atto di eroica incoscienza. Un paese che investe pesantemente sulla sua cultura: la scuola e l’università, il suo cinema e il suo teatro, la sua editoria e la televisione, la sua arte e la sua storia, il suo paesaggio e la sua eredità. Un luogo in cui si tengono sempre in conto gli effetti a lungo termine delle decisioni prese sugli italiani di domani. Dove la politica non agisce solo per il consenso immediato ma porta sempre con sé una responsabilità per coloro che non possono ancora esprimersi: i ragazzi, i bambini e gli italiani ancora non nati. Un paese dove i giovani italiani sono tali perché sono nati e cresciuti qui, perché parlano la nostra lingua. Perché, insomma, è qui che sentono di appartenere. Un’Italia che si preoccupa di investire per lasciare un’eredità, un’impronta, un segno positivo di questi nostri anni alle generazioni future.

10. Un’Italia laica e democratica
Un luogo dove le decisioni sono partecipate e i cittadini sono coinvolti, e dove la stampa è a servizio non del potere, ma delle persone: perché la democrazia sta nella possibilità di formarsi liberamente un’opinione. Un paese dove ciascuno può professare liberamente e dignitosamente la propria religione ma dove è ugualmente possibile e normale non professarne alcuna. Un luogo dove la politica ha una sola religione a cui rifarsi: la Carta Costituzionale, e che ricorda sempre che ogni legge si applica all’intero popolo italiano, che è fatto di persone con opinioni diverse, convinzioni diverse, culture diverse e fedi diverse. Un posto dove si può discutere di tutto e in cui la discussione politica e il dibattito civile sono privi di tabù. In cui la legislazione su temi quali il matrimonio gay, il fine vita e la procreazione medicalmente assistita siano all’avanguardia nel mondo e non il contrario, come accade oggi.