9 Maggio 2016

Tutto è bene quel che finisce bene

Appunti

E dunque la prossima settimana avremo finalmente una legge sulle unioni civili. Matteo Renzi ieri sera da Fabio Fazio ha annunciato che il governo chiederà la fiducia al Parlamento sulla legge Cirinnà e dunque, al più tardi giovedì, la Camera dei Deputati darà all’Italia una legge attesa da anni, per l’assenza della quale il nostro Parlamento è stato più volte richiamato dalla Corte Costituzionale e il nostro Paese è stato condannato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Quasi un anno fa, il 29 giugno del 2015, decisi di smettere di alimentarmi per richiamare l’attenzione della nostra opinione pubblica sull’assenza di questa legge. Mi pareva che, al di là delle dichiarazioni di principio, in realtà a nessuno, gay e lesbiche esclusi, importasse davvero di avere questa legge in Italia. I grandi mezzi di comunicazione, anche quelli progressisti, anche quelli che avevano fatto una battaglia per il divorzio e per l’aborto, sembravano fondamentalmente disinteressati alla questione.

Il 18 di luglio, durante l’assemblea nazionale del Pd tenutasi all’Expo, il Presidente Renzi mi assicurò pubblicamente che la legge si sarebbe fatta e fissò anche una road map precisa, che avrebbe consentito l’approvazione della legge prima della fine dell’anno. Decisi di dargli credito, e interruppi il mio digiuno mangiando delle fragole. Dissi che io di Renzi mi fidavo.

Neanche se lo volessi sarei in grado di ricordare qui la montagna di insulti che ho preso per aver espresso quella fiducia e per la fotografia delle fragole che mangiai, primo cibo solido dopo 20 giorni di digiuno, nel retropalco di quell’assemblea nazionale. E forse oggi non ne vale nemmeno la pena. Quello che conta è che la legge è a un passo dall’essere approvata.

E’ la legge perfetta? No. In un mondo ideale avremmo una legge sul matrimonio ugualitario. O almeno una legge che copra anche il tema della filiazione. Eppure questa legge sarà una rivoluzione. Una rivoluzione dei costumi e della cultura, perché stabilirà in modo inequivocabile che una famiglia può essere fatta da due uomini o da due donne. Perché in tutta Italia, rapidamente, si moltiplicheranno le cerimonie di unione civile e le feste che a quelle cerimonie seguiranno. Gli amici, i colleghi, i vicini di casa e le nonne potranno facilmente vivere l’esperienza e scoprire che la gioia e la letizia di un matrimonio non sono affatto diverse da quella di un’unione civile. Nulla è più potente contro il pregiudizio della conoscenza, poiché è l’ignoranza la vera madre di tutti i pregiudizi.

E quando il pregiudizio sarà stato cancellato, allora sì che sarà facile fare una legge sul matrimonio ugualitario. E’ successo in Francia, in Gran Bretagna, in Irlanda. Così come in Germania la prima legge sulle unioni civili, assai limitata e parziale, ha potuto essere allargata dalle Alte Corti soltanto in funzione del fatto che esisteva. Una volta fatta una legge che riconosce una dignità alle coppie dello stesso sesso, poi bisogna giustificare quale sia la ragione della sua incompletezza: e se la ragione è solo la discriminazione per orientamento sessuale, evidentemente i tribunali non possono far altro che rimuoverla.

Come al solito non mancano i teorici del “meglio nessuna legge che questa legge”, quelli che pensano che i difetti di questa legge, e in particolare l’assenza della “stepchild adoption”, sarebbero tali da meritare per lei la definitiva cassazione. Quello che penso è che, come succede spesso, anche in questo caso il massimalismo è un lusso della gioventù. Se hai 20 anni puoi certamente rimandare, ma se ne hai 70 e dividi da 40 il tuo letto con uno che per la legge è uno sconosciuto, o se hai una malattia che ti costringe a pensare ai tuoi giorni come fossero gli ultimi, ebbene, di questa legge hai bisogno subito. Oggi, non domani. “Poco, maledetto e subito”, dicono dalle mie parti.

A questa legge abbiamo lavorato in tanti: Monica Cirinnà, Sergio Lo Giudice, Micaela Campana, Alessandro Zan, Peppe Lumia, Luigi Zanda, Ettore Rosato, Maria Elena Boschi, Andrea Marcucci, Laura Cantini. E poi coloro che prima di noi hanno combattuto la battaglia dagli scranni del Parlamento, a partire da Franco Grillini, Nichi Vendola, Paola Concia e tanti altri amici e compagni sulle cui spalle noi ci siamo trovati a camminare.

Però, se posso dire, qui io ho davvero misurato la leadership e lo spessore politico di Matteo Renzi. Con Matteo abbiamo cominciato a discutere di questo tema nel 2012, quando decisi di appoggiarlo per la campagna per la premiership contro Bersani. Matteo è un cattolico, e in passato era stato addirittura al Family Day. Alla Leopolda di quell’anno ci occupammo di parlargliene io insieme con Cristiana Alicata, Alessio De Giorgi e Giuliano Gasparotti, e da lì nacque l’idea di portare avanti una legge di tipo tedesco (quindi con unioni civli fotocopia del matrimonio) con l’adozione del figlio del partner, la cosiddetta “stepchild adoption”.

La reazione di Matteo fu chiara: che ne fosse intimamente convinto o no, davvero non posso saperlo. Però certo è che Renzi comprese allora che l’Italia necessitava di un aggiornamento anche in tema di famiglie, che il tempo era pronto. E da allora io non gli ho visto fare nessun passo indietro, non gli ho visto avere nemmeno un centimetro di cedimento. Mai. Mi sono anche chiesto qualche volta se lavorare gomito a gomito con leader come Obama, Cameron, Trudeau, Hollande, Muscat abbia influito sui suoi orientamenti. Una generazione di leader mondiali, dei quali Renzi è sicuramente parte integrante, tutti schierati per l’uguaglianza: difficile non cogliere che quello era il verso del mondo e che bisognava cambiare verso anche da noi.

Renzi, da segretario del PD, ci ha anche consentito di lavorare a una maggioranza alternativa a quella del governo di cui è Presidente. Scelta non facile e non banale. E quando il Movimento 5 Stelle, in una delle sue proverbiali giravolte, ci ha lasciati nudi e indifesi in mezzo alla strada, quando tutto il Partito ci aveva detto che stavamo sbagliando a fidarci di loro, Renzi ha accettato di coinvolgere il governo, mettendo sul provvedimento addirittura la fiducia. Avrebbe potuto facilmente dire che, al venire meno dei voti dei grillini, la legge era da considerarsi perduta. Avrebbe potuto addossare a me, a Monica, a Sergio, a Micaela, la responsabilità di esserci fidati contro ogni buon senso delle lingue biforcute a 5 stelle, ma non lo ha fatto.

Se questa settimana avremo una legge che riconosce per la prima volta che la mia famiglia è una famiglia, lo dovremo innanzi tutto a lui: un uomo di quarant’anni, cattolico, farà quello che tanti leader della sinistra laica – da D’Alema a Bersani, da Prodi ad Amato – non sono riusciti a fare perché non hanno voluto farlo. Confesso che per me questo passo è un tema decisivo. Sul merito delle questioni economiche, giuridiche o finanziarie, si può sempre trovare un compromesso o un accordo. Sulla propria dignità, no.

Servo il Paese pro-tempore, “at the pleasure of the President”, sempre pronto a tornare al mio lavoro. Ma, qualunque cosa accada, dovessi anche un giorno confliggere con le azioni e i pensieri di Renzi, non potrò mai smettere di riconoscergli di aver messo tutto il proprio peso, e la propria faccia, su un provvedimento di civiltà che ha reintrodotto nella vita civile di questo nostro Paese centinaia di migliaia, se non milioni, di persone che ne erano completamente escluse.

Ai sarcastici, agli ospiti dei talk show, ai “più renziani di me” che lo escludevano radicalmente, a quelli che con l’attivismo ci pagano le bollette, ai più papisti del papa e a quelli che vanno al Pride con la kefiah, ai killer da fuoco amico, ai blogger che si sentono giornalisti, agli stalker da social media, agli amici che desideravano correggermi e naturalmente agli immancabili gufi e rosiconi (cit.), giunga il mio pensiero più pacifico e affettuoso.

Abbiamo lavorato anche per voi e alla fine, si sa, tutto è bene quel che finisce bene.