25 Giugno 2016

Chi lavora per andare indietro

Appunti, Attualità, Europa, Mondo

Dice oggi Beppe Severgnini che la “Decrepita Alleanza ha vinto”, riferendosi al fatto che i nonni inglesi si sono fottuti il futuro dei propri (ma anche dei nostri) nipoti, che per viaggiare, studiare e lavorare all’estero dovranno ora armarsi di visto e di passaporto.

Ha ragione Severgnini, ma c’è un altro pensiero che da ieri mi rincorre e che ho fatto fatica a mettere a fuoco, opacizzato com’è stato in queste ore dalla malinconia. L’ho visto meglio proprio quando ho smesso di cercare di capirlo razionalmente e mi sono invece sintonizzato su questo sentimento di tristezza da Brexit.

Come fa un referendum a generare questo gloom, questo scoramento? Mi sono sentito così soltanto dopo le torri gemelle, dopo il Bataclan, eventi molto diversi tra di loro, ma tutti accomunati dal fatto che i loro autori avevano un obiettivo comune: quello di produrre un effetto di retromarcia, di mostrare che il mondo non va solo avanti, che mettendocisi di buzzo buono può andare anche indietro.

Ecco che improvvisamente mi è venuto in mente che c’è un significato profondo nella parola “progressismo”. Che “progressista” è chi lavora per il progresso, chi vuole che il mondo progredisca. Chi vuole che si possa costruire una società sempre più prospera, sempre più aperta, sempre migliore, chi aspira a un futuro dove le persone vivono più a lungo, sono più istruite, hanno un reddito maggiore, una maggiore parità tra le persone in termini di dritti, una tecnologia che migliori le loro condizioni di vita.

Fino alla fine del secolo scorso è stato così: siamo andati, pur faticosamente, avanti. La politica aveva sogni: “I have a dream”. Oggi c’è un ampio spettro di forze – diversissime tra loro – che lavora alacremente per portare a casa dei passi indietro. Che vuol convincerci che la soluzione dei nostri problemi è regredire. Sul piano economico e tecnologico, sul piano della politica internazionale, sul piano dei diritti e delle opportunità individuali.

E’ come se essere progressista non significhi oggi soltanto essere genericamente aperti e in qualche modo di sinistra, ma etimologicamente prendersi sulle spalle l’onere di contrastare la coalizione di chi, da Boris Johnson a Marine Le Pen, da Donald Trump a Beppe Grillo, pensa sarebbe una fortuna vivere in un mondo che va all’indietro.