18 Dicembre 2015

Fine della ricreazione

Appunti, Attività di governo, Attualità, Partito Democratico, Politica italiana, XVII Legislatura

Alcuni giornali hanno ricostruito l’elezione dei tre giudici costituzionali dell’altro ieri come un nuovo capolavoro nato dal genio di Matteo Renzi, un colpo estemporaneo simile a quello che portò all’elezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica.

Naturalmente non è così, o non esclusivamente: la soluzione si deve agli sforzi di tanti, dai numerosi esponenti del Partito Democratico che hanno fatto un prezioso lavoro di mediazione, a partire dai capigruppo Rosato e Zanda, a un Movimento Cinquestelle una volta tanto disponibile e capace di muoversi con intelligenza senza farsi prendere dai suoi demoni, fino alla fondamentale moral suasion dei presidenti delle Camere e dello stesso Capo dello Stato.

Renzi, come accade spesso, ha avuto soprattutto il merito di suonare la campanella, di far presente che la ricreazione, e cioè l’inerzia del Parlamento, era finita. Ha difeso il nome indicato dal Partito Democratico (che era peraltro assolutamente indiscutibile sul piano del merito e della competenza), accettato l’indicazione dei pentastellati e dato visibilità e riconoscimento all’area centrista della maggioranza.

E’ vero, l’accordo ha tagliato fuori Forza Italia, e questo non era forse desiderabile alla luce della consistenza parlamentare ed elettorale del partito di Silvio Berlusconi. Tanto più che il candidato proposto, l’avvocato Francesco Paolo Sisto, era il nome di un giurista esperto che aveva dato, per riconoscimento di alleati e avversari, un’ottima prova di sé come Presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera. Ma non si può non sottolineare che questo risultato è stato determinato anche dalla pratica ingovernabilità dei gruppi parlamentari della maggiore forza del centrodestra.

A partire dalla frettolosa archiviazione del patto del Nazareno, all’inizio del 2015, gli azzurri sono sembrati un partito in perenne ricerca d’autore: apparentemente compatto intorno allo storico leader e fondatore, nella prassi diviso e rissoso, altalenante fra gesti di forte responsabilità democratica e inseguimento faticoso delle gradassate salviniane e intemperanze brunettiane. Gli abbandoni di Fitto e Verdini non hanno ricondotto ad unità i superstiti, come dimostrano i malumori platealmente emersi in occasione dell’ultima vicenda delle mozioni di sfiducia (cfr. le interviste di Paolo Romani a Repubblica e al Foglio).

E’ nato dunque un dialogo con Cinquestelle per risolvere l’impasse. Si tratta di un asse permanente, come qualcuno anche dalla minoranza del PD pare suggerire e qualcuno da NCD pare paventare? Non direi proprio. Ma questo non significa che non possano e non debbano esserci piani di convergenza e di responsabilità che non escludono affatto contrapposizioni, anche le più aspre.

Come è noto, questa mattina ci ritroveremo in Parlamento a discutere un’assurda, lunare mozione di sfiducia contro Maria Elena Boschi, nella quale i grillini daranno pubblicamente il peggio di sé e alla quale non avremo certamente problemi a rispondere per le rime. Normale, perché non abbiamo alcuna intenzione di stabilire un’alleanza con il Movimento Cinque Stelle, né tanto meno il Movimento Cinque Stelle vuole stabilirla con noi.

Non ci sono maggioranze variabili, ma talune decisioni devono vedere un dialogo tra maggioranza e opposizioni, una responsabilità istituzionale che non può non essere trasversale. Possiamo avere idee diversissime sulla Legge di Stabilità o sull’euro, ma possiamo (anzi dobbiamo) convenire sulla necessità di non mettere a rischio di paralisi un’istituzione fondamentale come la Corte Costituzionale o difendere tutti insieme il ruolo dell’Italia nella lotta al terrorismo internazionale o nella controversa questione libica.

Lascio al simpatico Toninelli la discussione un po’ causidica sulla differenza fra compromessi al rialzo e al ribasso: a mio parere c’è solo la differenza fra i compromessi che sono utili a portare un risultato al Paese e quelli che non lo sono. Questo sui giudici dell’Alta Corte era della prima categoria; speriamo ce ne siano anche altri in futuro, e che possano comprendere tutte le forze politiche e parlamentari di buona volontà. Non è solo sotto Natale che si deve cercare di essere più buoni.