2 Gennaio 2015

Lost in translation 5

Appunti, Viaggi

Si parla, a quanto pare, solo per essere smentiti. Così, dopo aver detto che in Giappone non si vedono bandiere giapponesi, oggi a Tokyo sono spuntate zilioni di bandiere col sole a occhio di bue. La città è pavesata a festa per il discorso dell’imperatore che peraltro oggi apre il suo palazzo alla folla (siamo passati e vi assicuro che si trattava tecnicamente di una folla), cosa che succede solo il 2 di gennaio e il giorno dell’augusto genetliaco imperiale. Che però confesso di non sapere quando ricorra.

Da queste parti capodanno è la festa delle feste. Anche negozi e musei sono chiusi perché fine anno è la ricorrenza più attesa dell’anno e tutti festeggiano con gli amici la sera del 31, mentre il giorno di capodanno si sta in famiglia a chiacchierare e bere sake (che però mi pare, a occhio, un’occupazione per tutte le stagioni). La guida che ci accompagnava per Kyoto mi ha detto seraficamente che i giapponesi si godono tre religioni diverse: buddismo e scintoismo, naturalmente, ma piacciono molto anche le feste di Natale e, appunto, la grande ricorrenza del capodanno che si basa sul calendario occidentale.

Confermo che in Giappone si mangia veramente molto bene. Le cotture sono rispettose del cibo, gli ingredienti sono freschi, e la tecnica è di mangiare tante piccole porzioni, così ci si sazia naturalmente senza dover soddisfare prima di tutto l’occhio come succede da noi, che un piatto di ottanta grammi di pasta fa veramente tristezza. Aggiungo che in tutti i posti dove abbiamo mangiato i bagni erano non puliti, immacolati. Che giudicare il ristorante (anche) dalle condizioni del bagno è una mia vecchia teoria mai veramente smentita dai fatti.

Attenzione che in Giappone le nostre carte bancomat, quelle del circuito Maestro, non servono a nulla. Conviene portrarsi contanti dall’Italia da cambiare in aeroporto per le piccole spese (vedi taxi), e poi usare la carta di credito (Visa e Mastercard vanno benissimo) per gli acquisti.

Per la strada, anche nel posto più affollato, anche nel famoso incrocio di Ginza dove passano ogni giorno milioni di persone e di autoveicoli, non si sente rumore di traffico. Ci siamo dati due spiegazioni: o sono i motori ibridi, che sono più silenziosi, o l’asfalto è fonoassorbente. O tutti e due.

Facendo un rapido conteggio alla buona, una persona su venti in Giappone indossa una mascherina da chirurgo. Pare che serva ad evitare di infettare i vicini quando si ha un po’ di raffreddore, ma i numeri mi sembrano eccessivi, come eccessiva mi pare la cautela adottata. In strada, sul luogo di lavoro – che pare anche un po’ strano essere serviti da un cameriere mascherato (se stava male, meglio restare a casa che tentare vanamente di bloccare la contaminazione del mio tempura con una stupida mascherina di garza) -, i giapponesi mascherati sono tantissimi, al punto che le mascherine ormai hanno vari modelli: da quello basic di garza si è passati a piccole museruole anatomiche, anche in vari colori. Prendesse piede da noi questa abitudine, molti rapinatori di banche se ne gioverebbero assai, ho pensato. Comunque ho fatto una ricerchina e sull’edizione di Tokyo di Time Out ho letto che ormai la mascherina la si mette non solo quando si sta poco bene, ma anche quando per esempio non si ha voglia di chiacchierare coi colleghi o i compagni di viaggio sul metrò o se ci si è alzate tardi e non si è fatto in tempo a completare il make up. Metti su un bel passamontagna, e via.