6 Marzo 2010

La pezza peggiore del buco

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Il mio pezzo su L’Unità, oggi.

La norma sull’arbitrato per dirimere le controversie di lavoro è il classico papocchio italiano che somma algebricamente due errori invece di risolverne uno. Per anni mi sono occupato professionalmente di problemi del lavoro sotto tre differenti giurisdizioni e gestendo contratti di lavoro in 54 paesi diversi. Da quell’osservatorio era chiaro un paradosso: che ad aprire e chiudere la graduatoria della protezione dei posti di lavoro erano i lavoratori di uno stesso Paese, l’Italia. Italiani gli unici virtualmente illicenziabili, sempre italiani anche gli unici senza ferie, gravidanza, malattia, formazione, senza potenzialmente nemmeno un giorno di preavviso in caso di licenziamento: stageurs, falsi consulenti a partita iva licenziabili solo col solo cenno del capo (come dicevano gli antichi), contratti a termine per ricoprire ruoli assolutamente stabili in azienda, lavoratori a progetto su tempi così lunghi da chiedersi di quale progetto possa mai trattarsi (la diga di Assuan? Il canale di Panama?). Cosa ci sarebbe aspettato in un paese normale? Che si aprisse finalmente una discussione sui diritti dei lavoratori in Italia. Che si mettesse mano a una riforma che garantisse il recupero dei milioni di italiani (soprattutto sotto i quarant’anni) senza dignità e senza futuro. Che ci si chiedesse finalmente se per una persona che entra nel mercato del lavoro sia meglio avere un contratto vero senza la garanzia dell’inamovibilità o un pezzo di carta creato in sostanziale frode alla legge. Questo si sarebbe dovuto fare, garantendo i diritti acquisiti e rinforzando le norme europee antidiscriminazione, che in Italia nessuno utilizza perché tanto non servono a nulla: chi gode di tutela collettiva, alla fine utilizza quella e chi invece fa il precario può essere liberamente discriminato. Cosicché pare proprio che di combattere la discriminazione di donne, gay, disabili e stranieri nei luoghi di lavoro in questo Paese non importi nulla a nessuno. Questo ci si sarebbe aspettato in un paese normale. E invece che succede? Che il governo di destra, in uno schema europeo il paladino del libero mercato, non tocca formalmente l’articolo 18 (ci sarebbe voluto del carattere) ma se lo mangia dal di dentro inventandosi la “facoltà” di inserire nei contratti di lavoro il ricorso a un arbitro che giudichi non secondo la legge ma “secondo equità”. Come se davanti all’offerta di un contratto un neo-assunto potesse mai fare questioni col datore di lavoro. E così salutiamo per sempre il totem dell’articolo 18, di cui non resta che una foto su cui piangere, senza neanche aver garantito i diritti minimi di cui dovrebbe godere ogni lavoratore in un Paese civile. Come spesso accade in Italia, anche stavolta la pezza è molto, molto peggiore del buco.

7 risposte a “La pezza peggiore del buco”

  1. Andrea ha detto:

    Ok. Che si fa? Referendum? Lo si mette nella lista di leggi da abrogare nel 2013? Ricordo solo che dal 2006 al 2008 non si è abrogato granché delle leggi canaglia 2001-2006… una su tutte la ex Cirielli del 2005 sulla prescizione che ha appena salvato Mills (e Berlusconi).

  2. Andrea ha detto:

    prescrizione…

  3. Ciro ha detto:

    Non credo sia possibile conciliare 2 categorie lavorative (tempo determinato / tempo indeterminato) nello stesso paese. La situazione va riequilibrata e non ci sono ragioni: vanno toccati i diritti acquisiti dei primi. Questa continua ipocrisia sta’ mettendo alla fame tutti quelli che hanno avuto un po’ di iniziativa personale, sono almeno 20 anni che non ci e’ data la possibilita’ di una programmazione che vada oltre i 6 mesi. Sono in ginocchio e alla soglia dei 40 anni mi trovo ad essere costretto a sperare di ottenere un visto per gli Stati Uniti dove magicamente divento una risorsa e non un problema. Buona Domenica

  4. Anellidifum0 ha detto:

    Ivan, tutto condivisibile, ma purtroppo il tema del giorno è qualcosa di ancora più grave.

  5. anna maria ha detto:

    Ivan, sii ancora più preciso non ti fermare all’incipit della questione, parla di come queste modifiche si concretizzeranno quando e se verranno applicate;ad esempio le aziende ricorreranno veramente a degli arbitri esterni che costeranno un occhio per queste cause, e poi quali sono i contratti toccati visto che quelli collettivi rimangono di fatto esclusi da questa modifica, mentre ad esserne svantaggiati sono quelli atipici; non solo, ma anche la modifica che prevede che a decidere sulla giusta causa o il giusto motivo di licenziamento da parte di un’azienda sarà chiamato il giudice che dovrà prendere in considerazione anche “l’interesse oggettivo della società”. Cosa significa tutto ciò? Che il giudice decide sulle strategie aziendali? Non bastano i titoli a nove colonne che recitano come si vanifica l’articolo 18, senza invece parlare dei pasticci giurdici e pratici. A prop. qualcuno di voi sa dove trovare “il testo” del decreto di interpretazione pubblicato ieri sulla Gazzetta, oppure l’integrale sulla modifica dell’articolo 18. Io non sono riuscita a trovarli sul web…perché vanno bene i commenti, ma verificare le fonti è meglio!

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